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Ti piace Brahms?


kraus
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ne ho letto recensioni molto positive (stranamente). Qualcuno ce l'ha? No perché finchè è mezzo regalato, se ne vale la pena, posso anche prendermelo

niente di clamoroso nè di particolarmente rivoluzionario, a me nel complesso piace! solito incontro a metà strada tra Rattle e i Berliner, se ti piace Rattle compralo. Ci sono comunque buone idee dentro. Non aspettarti il Brahms di Giulini ovviamente, è tutto diverso (ma questo lo sai già).

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niente di clamoroso nè di particolarmente rivoluzionario, a me nel complesso piace! solito incontro a metà strada tra Rattle e i Berliner, se ti piace Rattle compralo. Ci sono comunque buone idee dentro. Non aspettarti il Brahms di Giulini ovviamente, è tutto diverso (ma questo lo sai già).

si si certo ma ormai sto collezionando tutto il Brahms sul mercato. Dai apriamo una discussione su Rattle che se la merita

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si si certo ma ormai sto collezionando tutto il Brahms sul mercato.

è dura, un autore così di repertorio ti costerà un capitale! :D ascolta il Brahms di Markevitch (visto che ti è piaciuto questo direttore) e sappimi dire...

Dai apriamo una discussione su Rattle che se la merita

non credo avresti molti proseliti, in forum non è molto amato. Io ho qualche disco dell'epoca Birmingham piuttosto notevole (repertorio russo del '900) e poco altro, tra cui la bistrattatissima (non so perchè) integrale di Beethoven coi Wiener e questa di Brahms coi Berliner. Per me è un buon direttore, di grande acume.

La EMI come saprai ha compilato una gran quantità di boxini, ma sulla qualità delle interpretazioni girano tante di quelle voci...

Madiel ti consiglierebbe questo:

2011032211293966.jpeg

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Ho ascoltato i primi minuti di questa fantomatica terza di Knap ed è davvero estrema, tutto è esagerato e caricato, a cominciare dagli sbalzi nella dinamica. Adoro i tempi così dilatati, ma la libertà che si prende è davvero troppa, ok lento, ma deve essere tutto più o meno lento "uguale", non mi pare ci siano questi rallentando in partitura. Tromboni e controfagotto ci sono, facciamoli sentire! Giusto!


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Solti l'hai mai sentito?



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Integrale ormai dimenticata da Dio e all'epoca stroncata un pò da tutti, soprattutto in Italia (si parlava di "effettismo sonoro", di "accademismo esecutivo", un allora famoso critico usò la parola "frastuono" e quant'altro). In realtà, a mio parere, nulla di tutto ciò, se non che Solti imprime la sua precisa identità, espressiva e timbrica, anche a Brahms: legni tersi, timpani vellutati, archi guizzanti, ottoni lucenti e dettagliatissimo il contrappunto delle varie sezioni. Un Brahms potente e diretto, fluente e impetuoso. Tempi rapidi ma mai precipitosi (un pò alla maniera di Walter). Forse non eccelle in nessuna delle sinfonie, ma complessivamente mi è sembrata un ottima integrale.


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Guest zeitnote

Solti l'hai mai sentito?

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Integrale ormai dimenticata da Dio e all'epoca stroncata un pò da tutti, soprattutto in Italia (si parlava di "effettismo sonoro", di "accademismo esecutivo", un allora famoso critico usò la parola "frastuono" e quant'altro). In realtà, a mio parere, nulla di tutto ciò, se non che Solti imprime la sua precisa identità, espressiva e timbrica, anche a Brahms: legni tersi, timpani vellutati, archi guizzanti, ottoni lucenti e dettagliatissimo il contrappunto delle varie sezioni. Un Brahms potente e diretto, fluente e impetuoso. Tempi rapidi ma mai precipitosi (un pò alla maniera di Walter). Forse non eccelle in nessuna delle sinfonie, ma complessivamente mi è sembrata un ottima integrale.

Be' anche l'espressione severa e vagamente torva di Brahms in copertina non sembra deporre a favore di Sir Georg "The Screaming Skull" Solti. :D

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Solti l'hai mai sentito?

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Integrale ormai dimenticata da Dio e all'epoca stroncata un pò da tutti, soprattutto in Italia (si parlava di "effettismo sonoro", di "accademismo esecutivo", un allora famoso critico usò la parola "frastuono" e quant'altro). In realtà, a mio parere, nulla di tutto ciò, se non che Solti imprime la sua precisa identità, espressiva e timbrica, anche a Brahms: legni tersi, timpani vellutati, archi guizzanti, ottoni lucenti e dettagliatissimo il contrappunto delle varie sezioni. Un Brahms potente e diretto, fluente e impetuoso. Tempi rapidi ma mai precipitosi (un pò alla maniera di Walter). Forse non eccelle in nessuna delle sinfonie, ma complessivamente mi è sembrata un ottima integrale.

Solti direttore sinfonico non mi piace proprio. Tutto ciò che ho sentito é, da parte mia, trascurabile. Ho il suo ring, giustamente celebrato, che mi piace (però oltre al ring di Levine non ho altri riferimenti). Anche i concerti di Beethoven acclamati dalla critica mi lasciano un po' perplesso non fosse per il mitico solista.

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  • 4 months later...

Mi è incomprensibile il motivo per cui nell'indice dei compositori appaia "ti piace Brahms?",  anziché "Brahms". 

Innanzitutto, la domanda è formulata male.  È  come se qualcuno mi chiedesse "ti piace Dio"?

Si potrebbe sostituire con "credi in Brahms? ", oppure solo "Brahms ".

 

A mio modesto parere, naturalmente. 

 

 

 

 

 

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  • 2 weeks later...
On ‎09‎/‎04‎/‎2016‎ ‎17‎:‎37‎:‎26, Virgin dice:

Mi è incomprensibile il motivo per cui nell'indice dei compositori appaia "ti piace Brahms?",  anziché "Brahms". 

Innanzitutto, la domanda è formulata male.  È  come se qualcuno mi chiedesse "ti piace Dio"?

Si potrebbe sostituire con "credi in Brahms? ", oppure solo "Brahms ".

 

A mio modesto parere, naturalmente.

 

 

 

 

Rimane comunque un titolo molto sciocco.

Tra l'altro se non ricordo male nel film si sentivano solo il temone del finale della prima e il terzo movimento della terza che faceva piangere Ingrid Bergman. Brahms veniva preso un po' come prototipo del compositore romantico strappalacrime, cosa abbastanza lontana dalla realtà.

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@zeitnote come se la cava Lewis con Brahms? la sua integrale delle sonate beethoveniane - che nel complesso definirei senza infamia e senza lode: prodotto professionale ma che mai si avvicina ai giganti della tastiera che si sono cimentati con quella musica - mi ha dissuaso dal seguire questo pianista - quotatissimo da Gramophone ricordo.

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9 minuti fa, mdm67 dice:

@zeitnote come se la cava Lewis con Brahms? la sua integrale delle sonate beethoveniane - che nel complesso definirei senza infamia e senza lode: prodotto professionale ma che mai si avvicina ai giganti della tastiera che si sono cimentati con quella musica - mi ha dissuaso dal seguire questo pianista - quotatissimo da Gramophone ricordo.

Io lo sentii dal vivo qualche anno fa e mi fece appisolare quasi quanto la Pires...:lazy:

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Guest zeitnote
47 minuti fa, mdm67 dice:

@zeitnote come se la cava Lewis con Brahms? la sua integrale delle sonate beethoveniane - che nel complesso definirei senza infamia e senza lode: prodotto professionale ma che mai si avvicina ai giganti della tastiera che si sono cimentati con quella musica - mi ha dissuaso dal seguire questo pianista - quotatissimo da Gramophone ricordo.

Mah, l'ho seguito discograficamente per un po' su Schubert e Beethoven, ma poi mi son convinto che avrebbe potuto dedicarsi anche alla carriera del fotoromanzo. Il suo suono, che sulle prime può affascinare, mi sembra parecchio costruito in sala d'incisione. Dal vivo tutto si appiattisce e diventa insipido, come confermato da @giobar.

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  • 10 months later...

Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 - qualche considerazione

Ho sempre pensato che il secondo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms fosse una trombonata assurda: lungo, tronfio, animato da un virtuosismo pretenzioso, pesante e chiassoso. Ebbene ultimamente, ascoltando registrazioni diverse e relativamente meno note di questo concerto mi sono dovuto ricredere. Evidentemente c'era qualcosa che non mi suonava giusta nelle cosidette "edizioni di riferimento" che giravano a casa mia (che poi sono le solite diffuse e consigliate dalla critica storica). Ho creduto interessante cercare di capire cosa ne pensavano di questo concerto i giovani pianisti (quelli sotto i 50 anni per intenderci), per vedere se esisteva un punto di vista nuovo, diciamo più filologico, rispetto a questa partitura. Ho ascoltato e letto alcune interviste in proposito di Angelich, Grimaud, Berezowsky e Andsnes, che mi hanno offerto alcuni spunti di riflessione.

Impressioni generali

La domanda ricorrente (e banale) è "la differenza con il primo concerto" dello stesso autore. Se si chiede ai pianisti di usare un aggettivo per il primo tutti usano "dramatic", chiaramente il primo concerto è un concerto romantico, una delle poche opere brahmsiane legate intimamente ad un suo stato d'animo personale (e quindi alla situazione che attraversava nel periodo della composizione) e formalmente molto legato alla tradizione della "forma-concerto". Molto più difficile descrivere il secondo: qualcuno se la cava con l'espressione "mix of emotions", ma in generale ricorrono gli aggettivi "viennese" , "gipsy", "Amsterdam-style"... la Grimaud dice che il primo concerto è "blu" e il secondo è "giallo", in generale la percezione è quella di un pezzo addirittura "leggero e solare", dove il virtuosismo drammatico di certi passaggi concitati ha più un valore trofico all'interno dell'architettura del pezzo che un significato squisitamente emotivo; al contempo la composizione ha solide radici nella musica popolare, ravvisabili nella presenza di elementi pastorali e nell'uso pressochè costante dei ritmi di danza. 

La danza

Andsnes è quello che di più sottolinea la presenza costante di elementi danzanti. Il ritmo è infatti una componente fondamentale di questo concerto, e spesso viene letteralmente fatto a pezzi al fine di enfatizzare i singoli passaggi in una differenziazione marcata tra elemento lirico ed elemento virtuosistico (gli esempi sono quelli celeberrimi tra cui Gilels, Arrau, Cliburn, per non citarne di più recenti sullo stesso solco come Lupu o Sokolov). Anche la scrittura e il fraseggio vengono spesso traditi: basta prendere lo spartito della parte di piano per rendersi conto che presino il primo movimento, quello più ampio e frastagliato, è basato su un uso rigoroso di ritmi puntati e terzine irregolari, oltre ad un impiego insolitamente massiccio dello "staccato" (che molto spesso viene ignorato a favore della pedalizzazione estesa di intere frasi indicate "senza pedale" sulla partitura).

Fatte queste premesse, la mia ipotesi è che il modello brahmsiano utilizzato qui sia una fusione tra le forme della sinfonia classica pre-romantica (allegro in forma sonata, scherzo tripartito, adagio, rondò) e quelle della suite barocca, nello specifico:

Allemanda
Corrente
Aria
Giga

Affinchè possiate trarre voi stessi le conclusioni, con un po' di pazienza e un po' di Photoshop ho deciso di mostrarvi qualche pezzetto di partitura.

Questo di seguito è un celebre tema esposto dal pianoforte nel primo movimento:

2qbry3d.jpg

Ho segnato con dei numeri la linea melodica per rendere ancor più evidente la similitudine con lo schema ritmico della Allemanda:

otixsk.jpg

 

Nel secondo movimento il ritmo di danza è immediatamente percepibile sin dalle prime battute:

2ppj9mq.jpg

questa volta non è stato neanche necessario evidenziare lo schema ritmico, basta confrontare i righi qui sopra col secondo rigo (quello in chiave di basso) tratto da una corrente di Handel per rendersi conto della similitudine:

2ir3gj6.jpg

In epoca barocca la sarabanda veniva anche sostituita da un'aria (esempi celebri sono il tema delle Goldberg o la famosa Aria dalla suite per orchestra, entrambe di Bach), che voleva essere una sorta di "cantato strumentale" esattamente a foggia di un aria vocale. Non è difficile paragonare il cantabile del violoncello che apre il terzo movimento del concerto in questione con i modelli succitati, tanto più che lo stesso Brahms ricaverà in seguito da questo tema un lied per voce!

Il finale poi (con i suoi inserti tzigani nel mezzo, abbastanza comuni nel Brahms maturo) ricorda palesemente l'andamento rapido e leggero della giga:

35n3892.jpg

8zedtz.jpg

 

Come in tutti i compositori che attingono così in profondità dalla tradizione, anche in Brahms si possono ravvisare diversi livelli di influenza, come fossero "strati" di una roccia rappresentanti l'evoluzione del minerale e, in questo caso, delle forme impiegate: non è difficile leggere in questo concerto l'amore per J. Strauss e la sua "viennesità" danzante, ma pure per i ritmi ungheresi (Liszt) e polacchi (Chopin) che venivano indirettamente dall'est. Basso nella sua enciclopedia fa anche cenno ad "influenze nordiche", alludendo probabilmente a quell'Amsterdam-style che citava Berezowsky che, in fondo, derivava dallo stile delle danze anglosassoni (contraddanze, scozzesi ecc.) già nel patrimonio austro-tedesco dall'epoca di Mozart e Beethoven.

Il ritmo

Angelich sottolinea che un pezzo di così vaste proporzioni e così solidamente architettato ha bisogno di un'intesa molto intima tra pianista e direttore per garantire una tenuta strutturale e un "flowing" naturale, pena l'effetto slegato dei vari segmenti che compongono la partitura, e la sensazione di frammentazione e ulteriore ingigantimento della struttura. E quindi sarà necessario da un lato un rigore ritmico di fondo, una pulsazione costante, dall'altro - nei passaggi dove questo è consentito, o dovrei dire è opportuno - una libertà agogica lieve e spontanea che enfatizzi gli accenti tipici dei ritmi di danza. Anche alcune (pur belle) letture più attentamente "strutturaliste" (come quella di Anda, Pollini, Zimerman o del giovane Ashkenazy ad esempio), tradiscono quindi parte dello spirito del pezzo.

La sinfonia-concerto

Andsnes sfata un altro mito, quello della "sinfonia-concerto" dove il pianoforte lotta per la supremazia contro l'orchestra (vengono alla mente Richter, Katchen, Kovacevich e altri che sviluppano quest'idea). Osserva il pianista come la scrittura prevalentemente verticale (fatta in sostanza di soli accordi, in percussione o al massimo arpeggiati, con poche eccezioni) sia piuttosto una continuazione della scrittura orchestrale: non cambia tanto la relazione tra solista e orchestra, come ad esempio avverrà in Busoni, l'integrazione è realizzata attraverso l'alternanza tradizionale uno-tutti, ma con una scrittura del pianoforte "orchestrale" tale che vi sia appunto un'ideale continuità tra le parti. Il modello diretto in questo caso, più che il Beethoven dei concerti, sembra più Schumann. Benchè la struttura esterna appaia sinfonica a tutti gli effetti (e la parte orchestrale sia particolarmente curata), la sostanza è ancora quella del concerto solista, lo conferma anche il finale brillante e leggero - Brahms elimina pure i timpani da questo movimento - più affine alla tradizione classica che non ai modelli della sinfonia brahmsiana.

Conclusioni

L'idea generale che si ricava da queste considerazioni è quella di un concerto neoclassico ante-litteram (con tanto di suites di danze) realizzato ovviamente con lo stile e gli elementi del tardo-ottocento. Il prossimo passo sarà verificare quali interpreti storici si sono avvicinati di più a quest'idea dato che, lo anticipo, i "giovani" citati fino ad ora (ad eccezione di Andsnes di cui non sono riuscito ad ascoltare l'interpretazione) sembrano non riuscire a realizzare pienamente le intuizioni espresse a parole.

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E andiamo alle edizioni discografiche, cominciando dalle edizioni storiche anni '60 dei vecchi leoni della tastiera.

L'unico tra i pianisti intervistati che si sbilancia nell'indicare un proprio riferimento è Angelich, che suggerisce questo disco:

71kk7NuTf0L._SY450_.jpg

La registrazione è stata a lungo un grande classico (non si fatica a crederlo visti gli interpreti coinvolti), anche se nel tempo ha ceduto il passo alle svariate patinate edizioni che si sono succedute in casa DG. Comincio col dire che non è un'edizione che mi soddisfa appieno, epperò ha i suoi motivi di interesse in relazione al discorso fatto prima. Limite e pregio di questa registrazione è lo stile dei due interpreti: limite perchè Bohm suona alle orecchie di oggi piuttosto ingessato, mentre Backhaus è al solito monocorde e corrivo in molti passaggi che meriterebbero maggiore attenzione. Eppure le qualità di entrambi realizzano un risultato per l'epoca peculiare: Bohm, tra i direttori di tradizione germanica "doc", chiamiamoli così, è sicuramente quello dal suono più trasparente e dettagliato, ciò gli ha permesso di diventare per anni un riferimento nel repertorio viennese più "light" (Mozart e Schubert), Backhaus e il suo stile naif (come disse una volta giordano) offre dalla sua un approccio spontaneo e un suono luminoso... quel che vien fuori è un'idea "mozartiana" (per quel che poteva essere l'idea di Mozart che avevano all'epoca) del concerto di Brahms, qualcosa che diremmo si avvicina ad una concezione più neoclassica e meno bruckneriana della partitura.

Praticamente coeva a quella qui sopra, e per certi versi ancor più riuscita, questa registrazione, che certo conoscerete:

Rudolf.Serkin.-.Brahms.Piano.Concerto.No

Alla base c'è più o meno la stessa idea, con la differenza che Serkin è probabilmente un virtuoso più capace di Backhaus e Szell offre una direzione maggiormente ritmata e propulsiva. Anche in questo caso però la ricchezza della scrittura brahmsiana soffre a tratti sotto un approccio tendenzialmente istintivo che trascura alcune raffinatezze della partitura (da segnalare anche l'edizione Fleisher-Szell, pur buona e sulla stessa lunghezza d'onda di questa).

Arriviamo a colui che ritengo essere il riferimento tra i pianisti storici in questo concerto: Arthur Rubinstein. Rubinstein è stato il primo in assoluto a registrare il pezzo nella sua integralità, e a quella pionieristica e antidiluviana registrazione del '29 sono seguite ben 3 ulteriori incisioni in studio (con Munch, Krips, Ormandy) e svariate registrazioni dal vivo pubblicate postume. Dopo averle ascoltate tutte, ho scelto quella che mi pareva rendere maggiormente giustizia al suono e alle idee del pianista, trattasi di questa ripresa radiofonica in qualità audio più che buona pubblicata qualche anno fa:

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Imperfetta come qualsiasi ripresa dal vivo, testimonia tuttavia un artista sì anziano ma assolutamente al top della forma. Il giovane (all'epoca) Christoph von Dohnányi pecca talvolta d'irruenza, ma asseconda perfettamente le intenzioni del pianista. Con Rubinstein cogliamo davvero il senso danzante che pervade l'intera partitura. Inutile sottolineare l'affinità che il pianista polacco aveva con mazurke, tanghi e financo danze rituali (De Falla!), questa particolare musicalità, l'energia e la spontaneità, l'istinto e al contempo il senso della misura, la capacità di rendere tanto naturalmente il virtuosismo muscolare, sempre fraseggiato e mai monotono o meccanico, quanto gli abbandoni lirici e le numerose melodie che si nascondono in partitura, fanno di Rubinstein - per quel che le mie orecchie possono percepire - l'interprete più completo in questo contesto. Questa volta nulla sembra lasciato al caso, tutto quadra in un disegno finalmente globale che sembra emergere con grande convinzione. Gli staccati e i ritmi sincopati potranno suonare inusuali a chi è abituato ad interpretazioni più patinate, ma appariranno rinfrescanti (oltre che più fedeli al testo) all'orecchio che si abbandona alla vitalità di questa musica, musica di cui Rubinstein sembra l'unico della sua generazione ad averne intuito la ricchezza e lo spirito. 

 

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Occhio a questo doppio economico Decca perchè contiene una chicca, la ristampa di una incisione della coppia Ashkenazy/Mehta del 1967! Avete capito bene, 1967, lo stesso anno delle incisioni di Backhaus e Serkin di cui sopra, ma all'ascolto vi accorgerete che qui siamo almeno 10 anni avanti. E' bene non confondere questa misconosciuta registrazione con quella più diffusa che vede Ashkenazy accompagnato da Haitink (sempre su Decca), una lettura tendezialmente retorica che quindi poco ci interessa. Questa invece è un piccolo gioiello a partire dalla direzione! Il giovane Mehta era un vero talento, tra le registrazioni che ho ascoltato in queste settimane (e ne ho ascoltate tante!) la concertazione più limpida, nitida e dettagliata è proprio la sua: si ascoltano contrappunti orchestrali totalmente sommersi in altre versioni, e alcuni interventi strumentali che solitamente sono coperti dal volume del pianoforte. Neanche lo Chailly di pochi anni fa riesce a far meglio. Ashkenazy opta per un pianismo estremamente controllato ma tutto sommato dal fraseggio e dall'agogica molto naturale, meno spinti che nella sua incisione giovanile, meno affettati che nella sua incisione più tarda. Il ritmo è sempre sorvegliato, magari poco incline al passo di danza, ma comunque fluente. Più che altro, si realizza qui compiutamente, forse per la prima volta su disco, quell'equilibrato interplay dialogico tra pianoforte e orchestra di cui si faceva cenno nell'introduzione. Unico difetto l'eccessiva perfezione della resa globale, che tende a suonare come un tipico prodotto da studio di registrazione. In ogni caso edizione da ascoltare.

Spoiler

 

Come pure è da ascoltare quest'altra preziosa incisione:

faust_brendel_brahms_piano_concerto_2.jp

Il fatto che Abbado e Pollini fossero grandi amici non vuol dire che avessero una visione comune della musica che interpretavano. Lo stile aereo e dai contorni sfumati di Abbado era ciò di più distante poteva esserci dall'approccio spietato e cerebrale, poco incline all'edonismo, di Pollini. Qui, in questa meno nota registrazione con Alfred Brendel, si realizza invece una comunione di intenti intrigante e, per alcuni versi, rivoluzionaria. Anche in questo caso il punto di forza della registrazione è il rapporto di complicità più che di conflitto tra parte orchestrale e parte pianistica. Del Brahms di Abbado si è già detto altrove, la vera incognita era Brendel, un pianista che raramente assoceremmo a quest'autore. Brendel diceva: non avevo un bel suono e non ero un virtuoso, qualcosa mi dovevo pur inventare! E' l'intelligenza dell'interprete che, messa a servizio di questa partitura, prova a dare un significato nuovo ad ogni frase, usa con discrezione tutti i mezzi a sua disposizione per conferire musicalità, ritmo, cantabilità anche al passaggio più retorico, anche alla figurazione più meccanica. In questo è ben supportato da Abbado, assieme al quale realizza una lettura originale quanto plausibile, dinamica ma tutt'altro che precipitosa, all'insegna di un "romanticismo intellettuale" per me assolutamente pertinente in un pezzo del genere.

Spoiler

 

Si dirà, ma niente incisioni più recenti? come detto qui ed altrove, i giovani sembrano non centrare mai pienamente l'obiettivo (Berezowsky è sommario, la Grimaud è generica, Angelich è confuso), e molto spesso - per motivi di difficoltà e scarsa spendibilità del pezzo sul mercato mainstream - neanche si cimentano (mancano all'appello numerosi divi contemporanei). Le incisioni pregevoli di pianisti un po' più vecchietti non mancano certo (Freire, Ohlsson, Hough, Ax, Buchbinder, Achucarro ecc.), ma in fondo sono tutte variazioni sul tema delle vecchie registrazioni che si muovono sulla direttrice "poetica", chi più chi meno all'insegna di un romanticismo edonista declinato verso un'estetica più compassata e lussuosamente moderna. Per quel che ho ascoltato io, tante cose belle, ma nessuna vera rivoluzione. Segnalo in ogni caso la registrazione che, tra i giovani pianisti, mi ha soddisfatto maggiormente:

mi0001084707.jpg?itok=TRrgHx_c

Berglund non solo è un direttore sempre troppo poco ricordato, ma è stato artefice negli ultimi anni della sua vita di un ripensamento in senso più moderno ed informato della musica di Brahms; la sua direzione anche qui è appassionata e felice nell'attenzione ai piani sonori e alla scorrevolezza del discorso. Guy, che negli anni si è specializzato nel repertorio tedesco, offre il suo contributo forse non originalissimo, ma pertinente quando non avvincente. Per certi versi ricorda proprio il Rubinstein citato prima, per spontaneità, energia, senso del ritmo. 

Spoiler

 

A chiosa segnalo un live di non molti mesi fa di Hamelin che vale la pena di ascoltare (e vedere). Lasciate perdere la vecchia incisione con Litton su Hyperion, che per certi versi risente ancora di alcune incrostazioni della tradizione e provate questa qui sotto, così per avere un'idea di come una scrittura così impervia possa essere risolta senza trucchetti con grande facilità, con un approccio contemporaneo aderente al testo, senza che si debba rinunciare ad una buona dose di personalità:

 

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