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Sere01
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3 minuti fa, Madiel dice:

santo cielo!!! :ph34r:

Scusa, non hai mai avuto a che fare con persone anziane (ma anche appena 50enni con problemi dentari) sciatte nel gestire la loro dentiera o - purtroppo per loro e per i loro interlocutori - insofferenti agli adesivi? C'è persino la conduttrice di un'interessante trasmissione radiofonica di Rai3 con quel problema e quando parla è davvero una sofferenza starla a sentire :confused:

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2 ore fa, giobar dice:

Scusa, non hai mai avuto a che fare con persone anziane (ma anche appena 50enni con problemi dentari) sciatte nel gestire la loro dentiera o - purtroppo per loro e per i loro interlocutori - insofferenti agli adesivi? C'è persino la conduttrice di un'interessante trasmissione radiofonica di Rai3 con quel problema e quando parla è davvero una sofferenza starla a sentire :confused:

no, in genere hanno tutti i denti e quelli finti se li tengono ben piantati in bocca. Esistono pure le protesi fisse eh... :cat_lol: Piuttosto è strano il contesto, inatteso per delle dentiere giocherellone, è un particolare che me lo rende simpatico :cat_lol:

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7 ore fa, Madiel dice:

no, in genere hanno tutti i denti e quelli finti se li tengono ben piantati in bocca. Esistono pure le protesi fisse eh... :cat_lol: Piuttosto è strano il contesto, inatteso per delle dentiere giocherellone, è un particolare che me lo rende simpatico :cat_lol:

A vederlo un po' mi fa simpatia, un po' mi schifa, a pensare che da un momento all'altro se si sbaglia la può sputacchiare :D (se non sbaglio Paul Anka in un concerto perse la dentiera cantando, ma penso che sia stato un difetto di adesivo perchè cantare con i denti ballerini non lo vedo semplice :D).

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Mischa Maisky e le suites n. 3, 2 e 6 di Johann Sebastian Bach

La sintesi del concerto è negli occhi lucidi e sbalorditi, nel sorriso da un orecchio all'altro e nella frase che ci rivolge una giovane signora della fila davanti mentre io e mia moglie ci spelliamo le mani e gridiamo "bravo!" dopo l'ultimo bis: "ma quanto è bravo?". Sì bravo a rendere magnetica l'atmosfera di una grande sala strapiena, ad avvinghiare in un silenzio ascetico e stupefatto davanti al nudo Bach per violoncello solo un pubblico tradizionalista e spesso chiassoso, ad incantare, con foga e dolcezza insieme, cesellando le frasi in modo così naturale, fluido e vivo  da far pensare che egli sia nato con l'archetto in mano. Impossibile richiamare tutte le perle di un'avventura sonora così intensa. Su tutto, forse, la magia degli effetti d'eco del preludio della suite n. 6, con cui Maisky riusciva a spostare l'ascoltatore in una dimensione cosmica. Di fronte a una esperienza di musica tanto cogente e inclusiva è fuori luogo fare confronti con altre interpretazioni, chiedersi se e in che misura Maisky si sia sintonizzato con le letture filologiche, obiettare che questo o quell'altro movimento io lo "sentivo" diversamente. Il concerto di ieri sera, nell'esplosività del suo immenso e catartico "qui e ora", porta a dire, sommessamente, che certe sparate di Celibidache non erano poi così stravaganti. Nel suo porsi in modo discreto e garbato al pubblico, l'unica concessione di Maisky allo spettacolo è nel vezzo di cambiare il largo camicione di seta dopo ogni suite: il primo era bianco coi polsini neri, il secondo nero con poche righine argentate e il terzo blu elettrico. Altra nota di colore: il piccolo asciugamano nero che usava ogni tanto per tergersi il sudore abbondante e per asciugare poi il prezioso violoncello con la stessa tenerezza con cui si asciuga la testa di un bambino dopo la doccia.

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24 minuti fa, giobar dice:

Mischa Maisky e le suites n. 3, 2 e 6 di Johann Sebastian Bach

La sintesi del concerto è negli occhi lucidi e sbalorditi, nel sorriso da un orecchio all'altro e nella frase che ci rivolge una giovane signora della fila davanti mentre io e mia moglie ci spelliamo le mani e gridiamo "bravo!" dopo l'ultimo bis: "ma quanto è bravo?". Sì bravo a rendere magnetica l'atmosfera di una grande sala strapiena, ad avvinghiare in un silenzio ascetico e stupefatto davanti al nudo Bach per violoncello solo un pubblico tradizionalista e spesso chiassoso, ad incantare, con foga e dolcezza insieme, cesellando le frasi in modo così naturale, fluido e vivo  da far pensare che egli sia nato con l'archetto in mano. Impossibile richiamare tutte le perle di un'avventura sonora così intensa. Su tutto, forse, la magia degli effetti d'eco del preludio della suite n. 6, con cui Maisky riusciva a spostare l'ascoltatore in una dimensione cosmica. Di fronte a una esperienza di musica tanto cogente e inclusiva è fuori luogo fare confronti con altre interpretazioni, chiedersi se e in che misura Maisky si sia sintonizzato con le letture filologiche, obiettare che questo o quell'altro movimento io lo "sentivo" diversamente. Il concerto di ieri sera, nell'esplosività del suo immenso e catartico "qui e ora", porta a dire, sommessamente, che certe sparate di Celibidache non erano poi così stravaganti. Nel suo porsi in modo discreto e garbato al pubblico, l'unica concessione di Maisky allo spettacolo è nel vezzo di cambiare il largo camicione di seta dopo ogni suite: il primo era bianco coi polsini neri, il secondo nero con poche righine argentate e il terzo blu elettrico. Altra nota di colore: il piccolo asciugamano nero che usava ogni tanto per tergersi il sudore abbondante e per asciugare poi il prezioso violoncello con la stessa tenerezza con cui si asciuga la testa di un bambino dopo la doccia.

Ti invidio. Se viene a Roma andrò ad ascoltarlo sicuramente.

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On 19/2/2017 at 19:10, giobar dice:

Mischa Maisky e le suites n. 3, 2 e 6 di Johann Sebastian Bach

La sintesi del concerto è negli occhi lucidi e sbalorditi, nel sorriso da un orecchio all'altro e nella frase che ci rivolge una giovane signora della fila davanti mentre io e mia moglie ci spelliamo le mani e gridiamo "bravo!" dopo l'ultimo bis: "ma quanto è bravo?". Sì bravo a rendere magnetica l'atmosfera di una grande sala strapiena, ad avvinghiare in un silenzio ascetico e stupefatto davanti al nudo Bach per violoncello solo un pubblico tradizionalista e spesso chiassoso, ad incantare, con foga e dolcezza insieme, cesellando le frasi in modo così naturale, fluido e vivo  da far pensare che egli sia nato con l'archetto in mano. Impossibile richiamare tutte le perle di un'avventura sonora così intensa. Su tutto, forse, la magia degli effetti d'eco del preludio della suite n. 6, con cui Maisky riusciva a spostare l'ascoltatore in una dimensione cosmica. Di fronte a una esperienza di musica tanto cogente e inclusiva è fuori luogo fare confronti con altre interpretazioni, chiedersi se e in che misura Maisky si sia sintonizzato con le letture filologiche, obiettare che questo o quell'altro movimento io lo "sentivo" diversamente. Il concerto di ieri sera, nell'esplosività del suo immenso e catartico "qui e ora", porta a dire, sommessamente, che certe sparate di Celibidache non erano poi così stravaganti. Nel suo porsi in modo discreto e garbato al pubblico, l'unica concessione di Maisky allo spettacolo è nel vezzo di cambiare il largo camicione di seta dopo ogni suite: il primo era bianco coi polsini neri, il secondo nero con poche righine argentate e il terzo blu elettrico. Altra nota di colore: il piccolo asciugamano nero che usava ogni tanto per tergersi il sudore abbondante e per asciugare poi il prezioso violoncello con la stessa tenerezza con cui si asciuga la testa di un bambino dopo la doccia.

Ma come mai leggo spesso che è calato? Da quanto dici non si direbbe. O è discontinuo?

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43 minuti fa, superburp dice:

Ma come mai leggo spesso che è calato? Da quanto dici non si direbbe. O è discontinuo?

A 69 anni d'età non escludo che possa essere discontinuo per ragioni anagrafiche o che possa patire la fatica di una carriera ormai cinquantennale.  Nel concerto dell'altra sera è stato pressoché perfetto tecnicamente, a parte 4 o 5 suoni sporchi nei passaggi più virtuosistici della suite n. 6: nulla rispetto al livello stratosferico complessivo della sua prestazione.

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Riporto gli ultimi due concerti che ho ascoltato questa settimana.

Mercoledì ho sentito un concerto di musica da camera con Enrico Pace ed altri solisti suonare i quartetti per pianoforte e archi di Mahler, Fauré (n. 1) e Brahms (n. 1).

Il quartetto di Mahler lo conoscevo, è un pezzo giovanile molto interessante, ha uno sviluppo per nulla banale ed un'atmosfera cupa portata con coerenza lungo tutto il brano che è comunque molto compatto, a dispetto di come diverrà Mahler crescendo (anche se per me alla fine della sua vita riuscirà a coniugare lunghezza e densità insieme).

Il quartetto di Fauré è molto brahmsiano nel primo movimento, ma dopo un bell'inizio si perde un po'. Il movimento migliore resta lo scherzo secondo me, anche se sono dell'idea che un altro compositore (Mendelssohn) avrebbe saputo sfruttare meglio l'idea iniziale molto graziosa.

Il quartetto di Brahms è cosa nota, molto bello. Non mi ha convinto l'esecuzione del finale dove, immagino per esaltare il carattere zingaresco, tra un episodio e l'altro del rondò facevano una pausa, rendendolo quasi rapsodico.

Per il resto mi son sembrati bravi, specie Pace che ha una bella varietà di suoni e grande facilità digitale. Il violoncellista è quello che si sentiva meno, non so se per questioni di acustica della sala (e del mio posto) o per una certa timidezza sua.

 

Venerdì ho invece ascoltato il primo dei concerti sinfonici organizzati qui a Latina dal conservatorio, in programma il 2° concerto di Rachmaninov e la sinfonia Dal nuovo mondo.

Come uno o due anni fa è venuto come solista Alberto Nosè e come allora mi è piaciuto molto. Secondo me meriterebbe maggior fama. È un pianista solido: una bella tecnica, bel suono, bella musicalità, ottimamente integrato con l'orchestra (merito anche del direttore evidentemente). Certo, andrebbe ascoltato in altro repertorio (l'altra volta suonò il primo di Ciaicovskij, stavolta Rach, siamo lì) o meglio ancora da solista. Ha anche fatto un bis, ma non so cosa fosse e sembrava qualcosa di "poppeggiante".

La sinfonia Dal nuovo mondo è stata un altro piacevolissimo ascolto per l'interpretazione del direttore (Benedetto Montebello), molto attento a sottolineare con brevi rallentamenti i temi "americani". Si è preso quindi delle libertà, ma li ha saputo fare bene, anche perché è una musica che lo consente.

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  • 4 weeks later...

L'altro giorno ho finalmente ascoltato dal vivo Paavo Järvi al Parco della musica. In programma Bartok (suite di danze e secondo concerto per violino con Kavakos)e la seconda di Brahms.

Gran bel concerto, Paavo è sicuramente un gran concertatore, l'orchestra ha suonato molto bene.

Anche per le esecuzioni il livello è stato ottimo.

La suite in realtà non mi sembra uno dei pezzi più interessanti di Bartok, mentre il concerto è stato molto bello anche per merito di Kavakos (anche se è un pezzo che conosco non benissimo - che poi ho visto che in questi casi ascolto meglio se.chiudo gli occhi -).

Brahms anche mi è piaciuto, suonato con piglio "aggressivo" come piace a me. Giusto nel secondo movimento ha trattenuto lo slancio del tema, ma per come ha eseguito tutto il movimento funzionava.

Quindi complimenti a Paavo (per la gioia di Kovskij).

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  • 4 weeks later...

Ieri sera c'è stato il concerto di Pasqua dell'orchestra del conservatorio di Latina con musiche sacre di Mozart (Ave verum, Te Deum, Exultate jubilate ed un altro pezzo per coro e archi e poi il Magnificat di Vivaldi).

La cosa più bella, anche se sembra una battuta, è stata l'acustica della sala. Nel senso che il teatro dove si fanno i concerti è un teatro di prosa con un'acustica molto secca, poco adatta alla musica (il suono sparisce subito senza il minimo riverbero). Ieri qualche anima pia ha risolto il problema con un minimo di amplificazione che dava quel riverbero necessario.

Inoltre non riesco a capire se il suono dell'orchestra, migliore delle altre volte soprattutto negli archi, sia stato dovuto a questo intervento o anche al fatto che erano tutte facce nuove (non so spiegarmi questo cambio totale, eppure non c'era scritto da nessuna parte che si trattasse di un rinforzo esterno, perchè i fiati li ho riconosciuti).

Fatto sta che per la prima volta mi son goduto il concerto senza rammaricarmi dell'acustica, al punto che mi son goduto più la parte "tecnica" che i pezzi in sè :D (che eran ben suonati e ben diretti).

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Teodor Currentzis - MusicAeterna - Alexander Melnikov (fortepiano)

FerraraMusica, 10 Aprile 2017

Mozart: Sinfonia N.25, Concerto K466 - Beethoven: Sinfonia N.3

Il concerto rappresentava una delle prime uscite in Italia dell’orchestra MusicAeterna con il proprio “creatore”, Teodor Currentzis. “Creatore” è un termine voluto, in quanto oltre ad esserne stato il fondatore (nel 2004), Currentzis ha plasmato ogni orchestrale, ogni sezione dell’orchestra, portando in essa la sua personalissima visione del fare musica. Currentzis è una personalità forte, emergente, innovatrice, che ha come fondamento l’idea di eseguire il repertorio con gli strumenti d’epoca, cercando tuttavia una sorta di svecchiamento, quasi di destrutturazione, per uscire dalla routine sicuramente ma anche per ricercare elementi ormai perduti da tempo e sepolti da veli e veli di polverosa abitudine all’uguale. L’orchestra suona inoltre in piedi e questo, nell’intenzione di Currentzis, deve consentire maggiore immedesimazione da parte degli orchestrali, rendendoli liberi di suonare anche con il corpo.

Tutto questo si unisce al gesto di Currentzis, che non si può certo definire elegante, ma che rientra nella collettiva esecuzione come un unicum del tutto naturale. Raramente l’uso delle mani si adegua al mero battere del tempo. E’ sempre espressione, guida per gli orchestrali e per il pubblico medesimo. Gli sguardi possono sembrare quelli del direttore-dittatore, spesso fulminei, ma anche dolci e complici verso il proprio collettivo strumento. A fronte di questo la reazione di chi lo vede per la prima volta è inizialmente di perplessità, ma bastano poche battute per esserne catturati. Il magnetismo e il senso del racconto della musica che si sta eseguendo arrivano all’ascoltatore, che quindi si ritrova catapultato in un’esperienza bi-sensoriale, dove ascolto e vista si uniscono a cogliere aspetti mai uditi e mai visti in sala da concerto.

Detto questo, il concerto si è aperto con la straordinaria e notissima Sinfonia k185 di Mozart. Opera giovanile, resa celebre dal film “Amadeus”, rivela la genialità e lo spirito ribelle del salisburghese. L’incipit è indiavolato e tutto il primo movimento intriso di contagiosa energia. Harnoncourt docet, non siamo lontani da quella visione musicale. I tempi procedono rapidi, sebbene non vengano tralasciati momenti di rilassamento e di delicatezze sonore.

A seguire è stato proposto il Concerto k466, anche questa pagina notissima. Serve qui aggiungere che la scelta esecutiva volge all’uso del fortepiano, in totale coerenza con l’assetto orchestrale. E il fortepiano è’ elemento dell’orchestra, non davanti ad essa. Esecutore ne è Alexander Melnikov, già in sintonia con Currentzis a seguito di precedenti collaborazioni. Il suono è ovviamente più delicato, a volte si confonde con l’orchestra, ma nel complesso è abile Currentzis a dare spazio sonoro ai momenti chiave della partitura fortepianistica. Melnikov da par suo si immedesima nel ruolo di orchestrale aggiunto con ruolo di prima parte. Il risultato è di grande coesione musicale.

La seconda parte del concerto prevedeva la Sinfonia N.3 “Eroica” di Beethoven. Anche qui orchestra in piedi, allargata rispetto alla prima parte mozartiana. Bastano le prime due frustrate con cui la sinfonia inizia per rendersi conto delle intenzioni. I tempi sono rapidi, probabilmente molto vicini al metronomo beethoveniano messo recentemente in luce dall’edizione di Riccardo Chailly. Ma non è una questione di tempi soltanto. Sono accenti e dettagli a non finire che Currentsiz ci porta a conoscere, sorprendendoci ancora e spesso. Uno su tutti, i sei accordi ribattuti degli archi nel primo movimento, che sono normalmente eseguiti tutti uguali in forte: qui Currentzis li diversifica portandoli da piano al mezzo-forte al forte e al fortissimo. Qualunque sia la “verità esecutiva”, questa non può non sembrare tale. Geniale! La Marcia funebre non poteva che essere da meno. Nulla a che vedere con un triste funerale dell’eroe: c’è si l’aspetto funebre e solenne, ma nel contempo ci parla dei momenti dolci, dei momenti di passione dell’eroe, quasi come uno straussiano Heldenleben in miniatura. Scherzo e Finale diventano a seguire il rutilante epilogo della sinfonia, con i corni in evidenza.

Il trionfo tributato dal pubblico convince Currentzis e i suoi ad un immancabile bis, l’Ouverture dalle “Nozze di Figaro” mozartiane. Come nella recente incisione dell’opera il ritmo e il divertimento la fanno da padroni in un’esecuzione tutta d’un fiato di una brillantezza unica.

Può la musica classica diventare rock, addirittura suonandola con strumenti originali? La risposta è chiaramente si, con Currentzis e i suoi ragazzi. Il problema ora diventiamo noi, il pubblico: vogliamo lasciarci portare in mondi nuovi o preferiamo gli appigli sicuri dei grandi maestri del passato (e anche di oggi)? Ci sarà di sicuro chi dirà che questo non è il modo con cui si suonano Mozart o Beethoven. Ebbene, chiediamo a queste persone se erano là, più di 200 anni fa, aa ascoltare gli originali e poi – certi di sentire indubbi borbottii a risposta – torniamo a riascoltare Currentzis (o chiunque altro voglia sfidare coraggiosamente i detentori della Tradizione) e cerchiamo di utilizzare nuove orecchie, lasciandoci sorprendere. Solo così la musica classica può avere un futuro ed accogliere giovani ascoltatori.

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47 minuti fa, Steclassico dice:

Teodor Currentzis - MusicAeterna - Alexander Melnikov (fortepiano)

FerraraMusica, 10 Aprile 2017

Mozart: Sinfonia N.25, Concerto K466 - Beethoven: Sinfonia N.3

Il concerto rappresentava una delle prime uscite in Italia dell’orchestra MusicAeterna con il proprio “creatore”, Teodor Currentzis. “Creatore” è un termine voluto, in quanto oltre ad esserne stato il fondatore (nel 2004), Currentzis ha plasmato ogni orchestrale, ogni sezione dell’orchestra, portando in essa la sua personalissima visione del fare musica. Currentzis è una personalità forte, emergente, innovatrice, che ha come fondamento l’idea di eseguire il repertorio con gli strumenti d’epoca, cercando tuttavia una sorta di svecchiamento, quasi di destrutturazione, per uscire dalla routine sicuramente ma anche per ricercare elementi ormai perduti da tempo e sepolti da veli e veli di polverosa abitudine all’uguale. L’orchestra suona inoltre in piedi e questo, nell’intenzione di Currentzis, deve consentire maggiore immedesimazione da parte degli orchestrali, rendendoli liberi di suonare anche con il corpo.

 

Tutto questo si unisce al gesto di Currentzis, che non si può certo definire elegante, ma che rientra nella collettiva esecuzione come un unicum del tutto naturale. Raramente l’uso delle mani si adegua al mero battere del tempo. E’ sempre espressione, guida per gli orchestrali e per il pubblico medesimo. Gli sguardi possono sembrare quelli del direttore-dittatore, spesso fulminei, ma anche dolci e complici verso il proprio collettivo strumento. A fronte di questo la reazione di chi lo vede per la prima volta è inizialmente di perplessità, ma bastano poche battute per esserne catturati. Il magnetismo e il senso del racconto della musica che si sta eseguendo arrivano all’ascoltatore, che quindi si ritrova catapultato in un’esperienza bi-sensoriale, dove ascolto e vista si uniscono a cogliere aspetti mai uditi e mai visti in sala da concerto.

 

Detto questo, il concerto si è aperto con la straordinaria e notissima Sinfonia k185 di Mozart. Opera giovanile, resa celebre dal film “Amadeus”, rivela la genialità e lo spirito ribelle del salisburghese. L’incipit è indiavolato e tutto il primo movimento intriso di contagiosa energia. Harnoncourt docet, non siamo lontani da quella visione musicale. I tempi procedono rapidi, sebbene non vengano tralasciati momenti di rilassamento e di delicatezze sonore.

 

A seguire è stato proposto il Concerto k466, anche questa pagina notissima. Serve qui aggiungere che la scelta esecutiva volge all’uso del fortepiano, in totale coerenza con l’assetto orchestrale. E il fortepiano è’ elemento dell’orchestra, non davanti ad essa. Esecutore ne è Alexander Melnikov, già in sintonia con Currentzis a seguito di precedenti collaborazioni. Il suono è ovviamente più delicato, a volte si confonde con l’orchestra, ma nel complesso è abile Currentzis a dare spazio sonoro ai momenti chiave della partitura fortepianistica. Melnikov da par suo si immedesima nel ruolo di orchestrale aggiunto con ruolo di prima parte. Il risultato è di grande coesione musicale.

 

La seconda parte del concerto prevedeva la Sinfonia N.3 “Eroica” di Beethoven. Anche qui orchestra in piedi, allargata rispetto alla prima parte mozartiana. Bastano le prime due frustrate con cui la sinfonia inizia per rendersi conto delle intenzioni. I tempi sono rapidi, probabilmente molto vicini al metronomo beethoveniano messo recentemente in luce dall’edizione di Riccardo Chailly. Ma non è una questione di tempi soltanto. Sono accenti e dettagli a non finire che Currentsiz ci porta a conoscere, sorprendendoci ancora e spesso. Uno su tutti, i sei accordi ribattuti degli archi nel primo movimento, che sono normalmente eseguiti tutti uguali in forte: qui Currentzis li diversifica portandoli da piano al mezzo-forte al forte e al fortissimo. Qualunque sia la “verità esecutiva”, questa non può non sembrare tale. Geniale! La Marcia funebre non poteva che essere da meno. Nulla a che vedere con un triste funerale dell’eroe: c’è si l’aspetto funebre e solenne, ma nel contempo ci parla dei momenti dolci, dei momenti di passione dell’eroe, quasi come uno straussiano Heldenleben in miniatura. Scherzo e Finale diventano a seguire il rutilante epilogo della sinfonia, con i corni in evidenza.

 

Il trionfo tributato dal pubblico convince Currentzis e i suoi ad un immancabile bis, l’Ouverture dalle “Nozze di Figaro” mozartiane. Come nella recente incisione dell’opera il ritmo e il divertimento la fanno da padroni in un’esecuzione tutta d’un fiato di una brillantezza unica.

 

Può la musica classica diventare rock, addirittura suonandola con strumenti originali? La risposta è chiaramente si, con Currentzis e i suoi ragazzi. Il problema ora diventiamo noi, il pubblico: vogliamo lasciarci portare in mondi nuovi o preferiamo gli appigli sicuri dei grandi maestri del passato (e anche di oggi)? Ci sarà di sicuro chi dirà che questo non è il modo con cui si suonano Mozart o Beethoven. Ebbene, chiediamo a queste persone se erano là, più di 200 anni fa, aa ascoltare gli originali e poi – certi di sentire indubbi borbottii a risposta – torniamo a riascoltare Currentzis (o chiunque altro voglia sfidare coraggiosamente i detentori della Tradizione) e cerchiamo di utilizzare nuove orecchie, lasciandoci sorprendere. Solo così la musica classica può avere un futuro ed accogliere giovani ascoltatori.

 

Currentzis è un grande! Ho avuto il piacere di suonare con lui Lady mcbeth di Shostakovich anni fa... Grandissimo artista, maniacale nei dettagli e sempre attento al carattere.

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  • 1 month later...

Ieri sera ho ascoltato Tilson Thomas dirigere il concerto per due pianoforti e orchestra di Mozart (soliste le sorelle Labeque) e la 5.a di Mahler.

Mozart è stata un'esecuzione senza particolari pregi, mi aspettavo più vitalità dalle Labeque.

Il pezzo forte è stato però Mahler. La 5.a non è tra le mie preferite, ma l'esecuzione è stata bellissima, facendo percepire la complessità dell'orchestrazione mahleriana senza rendere caotico il discorso che si seguiva bene nei vari piani sonori.

Questo ha permesso di mantenere alto l'interesse durante tutta la sinfonia, nonostante qualche lungaggine del pezzo.

Esecuzione entusiasmante.

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  • 1 month later...

Ho ascoltato Il viaggio a Reims all'Opera di Roma.

Premetto che avevo preso i biglietti per quel poco che avevo visto della regia di Michieletto che mi sembrava molto interessante. Dato che è stata la cosa più interessante dello spettacolo posso ritenermi molto soddisfatto. L'idea dei quadri, per quanto non si incastri granchè con la "trama", culmina nella seconda parte della serata, con la ricostruzione del quadro con l'incoronazione di Carlo X (nella prima parte devo dire c'erano stati un po' di momenti che distraevano dalla musica, ma va bene lo stesso).

L'esecuzione musicale è stata secondo me un po' moscia come direzione, specie nella prima metà. Il direttore (Montanari) non aveva la brillantezza dell'Abbado storico, rendendo piuttosto noiosi i pezzi meno movimentati. E' stato originale nell'accompagnamento al fortepiano, intervenendo ogni tanto anche durante i pezzi cantati, e partecipando allo spettacolo. Ma musicalmente l'esecuzione non mi ha convinto molto.

Sui cantanti non mi pronuncio. Mi son sembrati complessivamente bravi, anche se alcuni non reggevano contro l'orchestra a tutta forza.

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  • 3 months later...

Non avevo mai sentito prima il quartetto Belcea, nemmeno in disco o su youtube, ed ero curioso di vedere se la fama era meritata. Ebbene, più che meritata: un concerto fantastico. All'inizio Haydn (quartetto Hob. 34 dall'opera 20). Forse non è il loro autore prediletto, perché c'era poco ben poco di settecentesco, ma da subito i quattro hanno messo le cose in chiaro: enorme perizia tecnica e cura certosina delle dinamiche e della timbrica. Pianissimi eterei ed esplosioni incontenibili, con attenzione a sottolineare nel modo più gustoso ogni episodio. Nel secondo tempo un lungo solo del violoncello di intensità commovente. Poi il clou della serata: primo quartetto di Ligeti. Non avrei mai immaginato che al termine di questo pezzo, sconosciuto ai più, difficile e ostico per un pubblico tradizionalista, gli esecutori potessero ricevere un'ovazione come quella cui, con entusiasmo, ho contribuito anch'io. Una capacità straordinaria di cogliere ogni microcellula del discorso, di variare i piani sonori, di evocare atmosfere in continua mutazione, con un approccio al pezzo energico, convinto, magnetico, incantatorio. Una bravura pazzesca nel far emergere e trascolorare ogni timbro possibile. Pubblico attentissimo, catturato e alla fine visibilmente felice di aver partecipato a quest'avventura sonora. All'ultimo momento ho convinto mia moglie e mia figlia a venire con me. Ora vogliono che prepari loro una playlist di Ligeti, che prima conoscevano solo da Kubrick, perché, parole loro "è un grande"!  Nella seconda parte un'esecuzione freschissima, vitaminica, trascinante dell'op. 96 di Dvorak, costellata da prodigi tecnici messi giù con assoluta nonchalance. Come bis un adagio in pianissimo di Thomas Adès che sembrava Morricone: malgrado una certa banalità del pezzo, anche qui una sbalorditiva capacità di tenere stabile la dinamica in sieme a un favoloso timbro liquescente. Il quartetto Belcea suonerà a Milano il 14 novembre: chi può vada a sentirlo.

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  • 11 months later...

Ciao a tutti. Ogni tanto riemergo dallo scantinato nella quale sono rinchiuso per andare a qualche concerto, e quello di ieri sera ci terrei a condividerlo con voi:

 

Torino, 12 Settembre 2018, MiTo Settembre Musica

Sala del Conservatorio "Verdi", ore 21

"Suonare lo spazio", recital per percussioni e pianoforte

Antonio Vivaldi

Concerto per ottavino (ovvero flauto sopranino), archi e b.c.

arr. Evelyn Glennie per vibrafono e pianoforte

 

Evelyn Glennie, Philip Sheppard

Orologeria aureola

 

James Keane

Piece for dance

 

Keiko Abe

Prism Rhapsody

 

James Tenney

Having never written a note for percussion

 

Nebojša Jovan Živković

Quasi una sonata

Dame Evelyn Glennie, percussioni

Philip Smith, pianoforte

 

Il concerto parte con lo scopo di fare un viaggio attraverso le varie epoche ed estetiche musicali attraverso il versatile mezzo delle percussioni. Si apre con la trascrizione per vibrafono del concerto di Vivaldi per ottavino (che gli ottavinisti conoscono e grazie ai vari concorsi orchestrali hanno imparato ad odiare), versione che Dame Glennie esegue spesso. Il virtuosismo è trascendentale, e l'energia non viene mai meno. Gli unici nei nella sua performance sono stati, a parere mio, l'eccessiva aggressività nei forti (che è un po' una caratteristica sua) e un'escursione di dinamiche sicuramente molto ampia e fantasiosa, ma secondo me non sempre studiata nel dettaglio e secondo lo stile della musica. I seguenti due brani sono due brani per percussioni e "nastro magnetico", il primo suonato prevalentemente su un hang drum, il secondo un brano tripartito, dove nella prima sezione e terza sezione il percussionista si destreggia tra grancassa, tom vari e piatti, mentre nella parte centrale vi è una piccola cadenza di marimba. A onor del vero, entrambi i brani erano abbastanza noiosi, rumorosi (ho passato l'intera durata con le orecchie tappate…...l'Arte non vale la salute dell'udito 😑) e dimenticabili.

Dopo l'intervallo, Dame Glennie e Smith ci deliziano con Prism Rhapsody di Keiko Abe, per marimba e pianoforte, un caposaldo della letteratura per percussioni, eseguito con notevole maestria e fornendo un'interpretazione che sicuramente va aldilà degli standard ai quali sono abituati gli studenti di percussioni in Conservatorio. 

Io in realtà ho scritto questa recensione solo per parlare di questo pezzo, Having never written a note for percussion, di James Tenney, compositore appartenente al movimento artistico "Fluxus", che vanta tra i suoi rappresentanti personalità come Yoko Ono (sì, QUELLA Yoko Ono), LaMonte Young e Sylvano Bussotti. Il movimento, tra le altre caratteristiche, dà più importanza al processo creativo che non al risultato finale, e questo brano rappresenta benissimo questa filosofia. Il brano rappresenta un rullo di un non meglio precisato strumento a percussione, con una forcella che va "dal nulla" al ffff per tornare al nulla, di durata "molto lunga". Dame Glennie prende questa indicazione alla lettera, dal momento che suona il brano sul tam tam facendolo durare non meno di 30-35 minuti. Un'esperienza sonora irripetibile, nonché una dimostrazione di gran coraggio, presentare un pezzo simile in una stagione concertistica "tradizionale" come MiTo.

L'ultimo brano personalmente mi ha lasciato abbastanza indifferente.

 
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  • 1 year later...

Sono di ritorno da un concerto di S. Cecilia diretto da David Afkham. Il programma prevedeva il preludio e morte di Isolde, la prima italiana del Trionfo di esistere di Lindberg e la terza di Brahms.

Il concerto mi è piaciuto per merito di Afkham (che non conoscevo). Mi è sembrato un buon interprete, con le idee chiare e bene in mente la struttura del pezzo. In Brahms poi mi è parso sottolineare un carattere danzante che non avevo mai notato, ma che funziona. Mi sono anche piaciuti i crescendo, ho avuto l'impressione che fossero molto ben costruiti.

Per quanto riguarda Lindberg, è un pezzo per coro misto e orchestra a commemorazione della fine della I guerra mondiale. L'ascolto non è difficile, è decisamente tonale, ma alla lunga (dura circa 25 minuti) mi ha annoiato, non c'era quasi contrasto tra le parti del pezzo. Insomma, deludente (anche se mi piacerebbe leggere il commento di qualche esperto come Madiel).

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2 ore fa, superburp dice:

Sono di ritorno da un concerto di S. Cecilia diretto da David Afkham. Il programma prevedeva il preludio e morte di Isolde, la prima italiana del Trionfo di esistere di Lindberg e la terza di Brahms.

Il concerto mi è piaciuto per merito di Afkham (che non conoscevo). Mi è sembrato un buon interprete, con le idee chiare e bene in mente la struttura del pezzo. In Brahms poi mi è parso sottolineare un carattere danzante che non avevo mai notato, ma che funziona. Mi sono anche piaciuti i crescendo, ho avuto l'impressione che fossero molto ben costruiti.

Per quanto riguarda Lindberg, è un pezzo per coro misto e orchestra a commemorazione della fine della I guerra mondiale. L'ascolto non è difficile, è decisamente tonale, ma alla lunga (dura circa 25 minuti) mi ha annoiato, non c'era quasi contrasto tra le parti del pezzo. Insomma, deludente (anche se mi piacerebbe leggere il commento di qualche esperto come Madiel).

Non so a quale pezzo alludi, mai sentito un lavoro per coro e orchestra di Lindberg! :o Afkham l'ho visto all'opera in qualche video on line, ma sinceramente non mi ha detto nulla di che (lo avevo citato in CSA 2019 qualche mese fa, prima dell'estate mi pare).

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13 minuti fa, Madiel dice:

Non so a quale pezzo alludi, mai sentito un lavoro per coro e orchestra di Lindberg! :o Afkham l'ho visto all'opera in qualche video on line, ma sinceramente non mi ha detto nulla di che (lo avevo citato in CSA 2019 qualche mese fa, prima dell'estate mi pare).

Su YouTube in effetti non si trova il pezzo completo, forse solo uno spezzone (domani lo incollo, se può interessare).

In generale su Lindberg che mi sai dire? Ho letto che ha sperimentato varie correnti.

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  • 2 years later...

Sabato sono stato a sentire van Zweden dirigere 5.a di Shostakovich e 5.a di Beethoven.

A parte il programma particolare (due pezzi così di solito sono il momento principale di un concerto, sentirli uno dopo l'altro ha fatto una strana sensazione, specie perché ha fatto prima Shosta e poi Beethoven), non mi è piaciuto molto. Mi è sembrato molto bravo tecnicamente, ogni gesto corrispondeva ad un effetto sull'orchestra, ma come interprete non aveva nulla di particolare. Anzi, specie in Beethoven è scivolato via come acqua.

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Lui fu storico primo violino del Concertgebouw negli anni '80. Poi a fine '90 ha iniziato la carriera di direttore con ottimi successi internazionali e attualmente è stabile con la New York Philharmonic. Lo conosco solo discograficamente: alcuni ottimi cd di Haydn registrati in Olanda con un'orchestra locale, pessimo Beethoven a Dallas, mortifero Stravinsky a New York. Il nostro @Florestan mi pare lo apprezzi relativamente in Bruckner (integrale Challenge). Ha fatto pure il Ring per Naxos con l'orchestra di Hong Kong. Come concertatore credo sia molto apprezzato, forse meno come interprete.

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8 ore fa, Ives dice:

Lui fu storico primo violino del Concertgebouw negli anni '80. Poi a fine '90 ha iniziato la carriera di direttore con ottimi successi internazionali e attualmente è stabile con la New York Philharmonic. Lo conosco solo discograficamente: alcuni ottimi cd di Haydn registrati in Olanda con un'orchestra locale, pessimo Beethoven a Dallas, mortifero Stravinsky a New York. Il nostro @Florestan mi pare lo apprezzi relativamente in Bruckner (integrale Challenge). Ha fatto pure il Ring per Naxos con l'orchestra di Hong Kong. Come concertatore credo sia molto apprezzato, forse meno come interprete.

Più o meno siamo sulla stessa lunghezza d'onda, specie su Beethoven.

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On 31/5/2022 at 08:22, superburp dice:

Sabato sono stato a sentire van Zweden dirigere 5.a di Shostakovich e 5.a di Beethoven.

A parte il programma particolare (due pezzi così di solito sono il momento principale di un concerto, sentirli uno dopo l'altro ha fatto una strana sensazione, specie perché ha fatto prima Shosta e poi Beethoven), non mi è piaciuto molto. Mi è sembrato molto bravo tecnicamente, ogni gesto corrispondeva ad un effetto sull'orchestra, ma come interprete non aveva nulla di particolare. Anzi, specie in Beethoven è scivolato via come acqua.

 

13 ore fa, Ives dice:

Lui fu storico primo violino del Concertgebouw negli anni '80. Poi a fine '90 ha iniziato la carriera di direttore con ottimi successi internazionali e attualmente è stabile con la New York Philharmonic. Lo conosco solo discograficamente: alcuni ottimi cd di Haydn registrati in Olanda con un'orchestra locale, pessimo Beethoven a Dallas, mortifero Stravinsky a New York. Il nostro @Florestan mi pare lo apprezzi relativamente in Bruckner (integrale Challenge). Ha fatto pure il Ring per Naxos con l'orchestra di Hong Kong. Come concertatore credo sia molto apprezzato, forse meno come interprete.

io ci ho suonato un'8va di Bruckner e concordo con entrambi. Grandissimo preparatore, soprattutto degli archi (infatti ha fatto rendere al meglio orchestre modeste come Dallas e Hong Kong), come interprete non molto ispirante. 

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On 1/6/2022 at 08:51, Ives dice:

Lui fu storico primo violino del Concertgebouw negli anni '80. Poi a fine '90 ha iniziato la carriera di direttore con ottimi successi internazionali e attualmente è stabile con la New York Philharmonic. Lo conosco solo discograficamente: alcuni ottimi cd di Haydn registrati in Olanda con un'orchestra locale, pessimo Beethoven a Dallas, mortifero Stravinsky a New York. Il nostro @Florestan mi pare lo apprezzi relativamente in Bruckner (integrale Challenge). Ha fatto pure il Ring per Naxos con l'orchestra di Hong Kong. Come concertatore credo sia molto apprezzato, forse meno come interprete.

Le prime due sinfonie della sua integrale bruckneriana non mi dispiacciono, dalla Terza in poi diventa tutto molto meno interessante fino a scadere nella noia. Peccato, perché musicalmente van Zweden è tutt'alro che uno sprovveduto.

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  • 6 months later...

Beatrice Rana ascoltata al Conservatorio di Milano qualche sera fa. Faceva Scriabin (vari Preludi), Chopin (Sonata No.2) e soprattutto l'Hammerklavier. Esperienza d'ascolto che definirei devastante in senso positivo: dominio assoluto delle partiture, controllo totale dello strumento, forza espressiva dirompente, tavolozza coloristica sgargiante, profondità di analisi del testo, controllo dei pesi, compattezza della forma; per personalità e virtuosismo puro da mettere ai livelli di Sokolov o Kissin sentiti anch'essi live ma anni fa. Si potrebbe solo affrontare la questione di un Beethoven allo Steinway che oggi mi risulta un pò troppo laccato per i miei gusti, però è un feticcio ininfluente al cospetto di tale musicista. Chapeau! 🙂

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