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Sere01
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Allora, la Butterfly ieri alla stagione estiva dell'Opera di Roma, alle Terme di Caracalla, è uno spettacolo dignitoso, con buoni momenti.


Si comincia male, con una direzione affidata al franco canadese Yves Abel, uno di quei maestri di complemento buoni per accompagnare le star del momento nei loro dischi di arie - e non sto parlando di Serafin che accompagnava Vickers, ovviamente - che attacca il fugato iniziale senza verve. In confronto Gabriele Santini nella celebrata incisione EMI con Bjorling e la De Los Angeles è una furia. Abel è quello che Wittels chiamerebbe un "battisolfa". Ha una delicatezza che rimanda alla scuola del connazionale Dutoit, direttore anch'egli fin troppo compassato, ma di certo di ben maggiore personalità. Detto questo nulla di disastroso in buca. Vediamo i cantanti.


Amsik Grigorian, lituana, nel ruolo di Butterfly ha dimostrato fin dall'entrata in scena di avere le carte in regola. Timbro beneducato, accento sognante il giusto, una bella voce (nei video sul tubo si percepisce una certa fissità e durezza, che però ieri sembravano quasi assenti - temo per lei e per i suoi contratti discografici che non abbia voce fotogenica) e una bel sembiante, che non guasta. Il problema è che per tutto il primo atto non è entrata nel ruolo. Ha cantato come a un saggio. Bene, mi pare, con tutte le note a posto. Ma il resto? Una bambola meccanica.


Pinkerton, il messinese Angelo Villari, è un tenore alquanto sgangherato. Un semidilettante, direbbe il nostro, vero, Pinkerton.


Ma troppi danni non ne fa, a parte non cogliere nemmeno mezza sfumatura di un personaggio che è vittima della sua arroganza.


Suzuki è una discreta Anna Pennisi.


Saverio Fiore come Goro comincia bene, poi si appanna anche lui, ma certo il ruolo non è che consenta chissà che.


Il console Sharpless è un baritono preso ai saldi, è volitivo ma le risorse vocali sono davvero poca cosa, Alessio Arduini.


Per fortuna che, dopo l'intervallo, la Grigorian si ricorda che, oltre a avere una buona tecnica, una bella voce, e una certa avvenenza, deve tirare fuori il personaggio. E, complice anche alcune buone intuizioni registiche di Àlex Ollé (dei catalani La Fura dels Baus), si scioglie e diventa una tigre. Una Butterfly esasperata, che ben rappresenta il passaggio dall'ostinata credulità alla disperazione, ma senza sfiorare la macchietta (anche se quella canottiera con la bandiera americana...) e che canta sempre con rigore ma, finalmente, tirando fuori anche l'affettività, la sensibilità delicata e fatalmente illusa. Nel finale, meritate le acclamazioni rivoltele.


Spettacolo da vedere? Sì, per la protagonista. Il resto, regia compresa - che semi-attualizza la vicenda in un pasticcio di riferimenti cinematografici e di "critica sociale" (Pinkerton che diventa speculatore edilizio, le rovine delle Terme nello sfondo trasformate in palazzoni-alveari che sovrastano la baracchetta di Butterfly, lo zio Bonzo che è una specie di capo della Yakuza) è, sostanzialmente, riempitivo, contorno.


Uno spettacolo dunque che ruota attorno alla Grigorian. Che mi riprometto di seguire nelle prossime esibizioni.


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Guest zeitnote

Allora, la Butterfly ieri alla stagione estiva dell'Opera di Roma, alle Terme di Caracalla, è uno spettacolo dignitoso, con buoni momenti.

Si comincia male, con una direzione affidata al franco canadese Yves Abel, uno di quei maestri di complemento buoni per accompagnare le star del momento nei loro dischi di arie - e non sto parlando di Serafin che accompagnava Vickers, ovviamente - che attacca il fugato iniziale senza verve. In confronto Gabriele Santini nella celebrata incisione EMI con Bjorling e la De Los Angeles è una furia. Abel è quello che Wittels chiamerebbe un "battisolfa". Ha una delicatezza che rimanda alla scuola del connazionale Dutoit, direttore anch'egli fin troppo compassato, ma di certo di ben maggiore personalità. Detto questo nulla di disastroso in buca. Vediamo i cantanti.

Amsik Grigorian, lituana, nel ruolo di Butterfly ha dimostrato fin dall'entrata in scena di avere le carte in regola. Timbro beneducato, accento sognante il giusto, una bella voce (nei video sul tubo si percepisce una certa fissità e durezza, che però ieri sembravano quasi assenti - temo per lei e per i suoi contratti discografici che non abbia voce fotogenica) e una bel sembiante, che non guasta. Il problema è che per tutto il primo atto non è entrata nel ruolo. Ha cantato come a un saggio. Bene, mi pare, con tutte le note a posto. Ma il resto? Una bambola meccanica.

Pinkerton, il messinese Angelo Villari, è un tenore alquanto sgangherato. Un semidilettante, direbbe il nostro, vero, Pinkerton.

Ma troppi danni non ne fa, a parte non cogliere nemmeno mezza sfumatura di un personaggio che è vittima della sua arroganza.

Suzuki è una discreta Anna Pennisi.

Saverio Fiore come Goro comincia bene, poi si appanna anche lui, ma certo il ruolo non è che consenta chissà che.

Il console Sharpless è un baritono preso ai saldi, è volitivo ma le risorse vocali sono davvero poca cosa, Alessio Arduini.

Per fortuna che, dopo l'intervallo, la Grigorian si ricorda che, oltre a avere una buona tecnica, una bella voce, e una certa avvenenza, deve tirare fuori il personaggio. E, complice anche alcune buone intuizioni registiche di Àlex Ollé (dei catalani La Fura dels Baus), si scioglie e diventa una tigre. Una Butterfly esasperata, che ben rappresenta il passaggio dall'ostinata credulità alla disperazione, ma senza sfiorare la macchietta (anche se quella canottiera con la bandiera americana...) e che canta sempre con rigore ma, finalmente, tirando fuori anche l'affettività, la sensibilità delicata e fatalmente illusa. Nel finale, meritate le acclamazioni rivoltele.

Spettacolo da vedere? Sì, per la protagonista. Il resto, regia compresa - che semi-attualizza la vicenda in un pasticcio di riferimenti cinematografici e di "critica sociale" (Pinkerton che diventa speculatore edilizio, le rovine delle Terme nello sfondo trasformate in palazzoni-alveari che sovrastano la baracchetta di Butterfly, lo zio Bonzo che è una specie di capo della Yakuza) è, sostanzialmente, riempitivo, contorno.

Uno spettacolo dunque che ruota attorno alla Grigorian. Che mi riprometto di seguire nelle prossime esibizioni.

Qui il calendario dei suoi prossimi impegni (per il cellulare scrivimi in privato :D)...interessante, comunque, il suo 2016 con una Tatjana a Berlino e una Marie nel Wozzek di Amsterdam diretto da Markus Stenz.

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  • 6 months later...

Ieri sera entusiasmante spettacolo (concerto è molto riduttivo) di Igudesman & Joo. Sebbene gran parte delle loro gag mi fossero già ben note, vederli dal vivo è un'altra cosa. Sono  musicisti veri, che conoscono a fondo le possibilità di fare spettacolo coi loro strumenti. Certo, non si può pretendere da loro filologia o interpretazioni di riferimento, ma credo che nemmeno le vogliano offrire. Mettono in campo, invece, la capacità della musica di divertire e affascinare anche col gioco, addirittura coinvolgendo il pubblico in vere e proprie lezioni popolari: per esempio, è servito chi vuol capire la differenza tra un pezzo suonato in minore o in maggiore oppure come cambi un pezzo al mutare della tonalità o quali effetti si possano ottenere da una scordatura del violino. L'unico pezzo eseguito per intero - peraltro benissimo - è una loro fantasia per violino e piano che collega ed elabora molti temi di Morricone in una sorta di omaggio all'Italia prima della fine dello spettacolo. Sorprendente la loro professionalità, che li porta a dialogare col pubblico sempre in italiano e addirittura a fare specifici riferimenti al contesto locale (cibi tipici, dialetto, situazione geografica). E, alla fine, niente fuga in camerino ma bagno di folla per chiacchierate e scherzi col pubblico, foto e autografi con la massima disponibilità. Per fortuna la sala era pienissima e il successo è stato enorme. Soltanto pochi bacucchi non applaudivano, storcevano la bocca e commentavano che non avevano fatto l'abbonamento per andare al circo...

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  • 3 months later...

Segnatevi questo nome, perché sentirete parlare molto di lui: Alpesh Chauhan.  E' inglese ma di origini indiane (o pakistane). E' stato primo violoncello della City of Birmingham Symphony Orchestra. Ha soltanto 26 anni. Ed è uno dei direttori più bravi che ho visto dal vivo da dieci anni a questa parte. Non esagero: una bravura pazzesca. Non avevo mai visto gli orchestrali applaudire il direttore a scena aperta e con visibile entusiasmo dopo il primo pezzo in programma. E il programma metteva a dura prova le capacità di orchestra e direttore. Si iniziava con la suite di John Williams da Star Wars. Lì si può sbracare, si può cadere nel cattivo gusto più corrivo. Chauhan ha eretto una diga e ha semplicemente fatto suonare l'orchestra nel modo più naturale e perfetto possibile, senza effettacci, senza volgarità, divertendosi e facendo divertire con gusto. Formidabile la cura dei piani sonori, con un'amalgama incredibile fra archi caldi e setosi e ottoni luminosi e squillanti che sembravano quelli di Chicago in trasferta. Seguiva l'anello debole del programma: concerto per quartetto di sassofoni e orchestra di Philip Glass. Una boiata invereconda riscattata dalla bravura superlativa del Signum Saxophone Quartet e del direttore. In questo pezzo c'è anche poco minimalismo, è un misto fritto di luoghi comuni musicali in cui si sente un po' di tutto. Da ultimo, ampia selezione dal Romeo e Giulietta di Prokofiev, realizzata con attenzione elevatissima ai colori orchestrali e alla caratterizzazione di ogni singolo pezzo. Entusiasmo alle stelle. E, dato il risultato, la buona, ottima notizia è che fra appena tre mesi, a metà settembre, Chauhan tornera per dirigere Beethoven e Respighi (con Olli Mustonen!!!).

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On 4/6/2016 at 23:57, giobar dice:

Segnatevi questo nome, perché sentirete parlare molto di lui: Alpesh Chauhan.  E' inglese ma di origini indiane (o pakistane). E' stato primo violoncello della City of Birmingham Symphony Orchestra. Ha soltanto 26 anni. Ed è uno dei direttori più bravi che ho visto dal vivo da dieci anni a questa parte. Non esagero: una bravura pazzesca. Non avevo mai visto gli orchestrali applaudire il direttore a scena aperta e con visibile entusiasmo dopo il primo pezzo in programma. E il programma metteva a dura prova le capacità di orchestra e direttore. Si iniziava con la suite di John Williams da Star Wars. Lì si può sbracare, si può cadere nel cattivo gusto più corrivo. Chauhan ha eretto una diga e ha semplicemente fatto suonare l'orchestra nel modo più naturale e perfetto possibile, senza effettacci, senza volgarità, divertendosi e facendo divertire con gusto. Formidabile la cura dei piani sonori, con un'amalgama incredibile fra archi caldi e setosi e ottoni luminosi e squillanti che sembravano quelli di Chicago in trasferta. Seguiva l'anello debole del programma: concerto per quartetto di sassofoni e orchestra di Philip Glass. Una boiata invereconda riscattata dalla bravura superlativa del Signum Saxophone Quartet e del direttore. In questo pezzo c'è anche poco minimalismo, è un misto fritto di luoghi comuni musicali in cui si sente un po' di tutto. Da ultimo, ampia selezione dal Romeo e Giulietta di Prokofiev, realizzata con attenzione elevatissima ai colori orchestrali e alla caratterizzazione di ogni singolo pezzo. Entusiasmo alle stelle. E, dato il risultato, la buona, ottima notizia è che fra appena tre mesi, a metà settembre, Chauhan tornera per dirigere Beethoven e Respighi (con Olli Mustonen!!!).

Ma è bravo solo dal punto di vista tecnico o anche come interprete? Perchè l'unico pezzo serio del programma era Prokofiev e non ho capito se era bella anche l'interpretazione o solo la cura dell'orchestrazione.

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5 ore fa, superburp dice:

Ma è bravo solo dal punto di vista tecnico o anche come interprete? Perchè l'unico pezzo serio del programma era Prokofiev e non ho capito se era bella anche l'interpretazione o solo la cura dell'orchestrazione.

Anche come interprete. Ciascun pezzo di Prokofiev era ben centrato e l'intera selezione era animata dalla varietà che, in opere del genere, caratterizza le interpretazioni di rango. Ma la caratura di interprete si coglieva anche negli altri pezzi.

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  • 1 month later...

Sabato sera, nell'ambito del Festival Pontino, ho ascoltato il quartetto francese Diotima suonare il 3° quartetto di Solbiati, il 3° di Gervasoni (ne parlo nella discussione sulla musica italiana del XX e XXI secolo), il presto per quartetto di Schönberg e l'op.135 di Beethoven.

Per quanto riguarda Schönberg, è un pezzo giovanile (1895) e si sente, in particolare mi è parso ci fosse una certa influenza di Mendelssohn. Non sembrava certo un pezzo di fine secolo, comunque non era male.

Gervasoni e Solbiati hanno messo a dura prova mia moglie (stava per mettersi a piangere ha detto :lol:).

Beethoven ha salvato tutto per fortuna.

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  • 1 month later...

Se vi capita a tiro, correte a sentire Speranza Scappucci, direttrice italiana con ormai solida carriera negli USA. L'ho sentita ieri in un sorprendente concerto con la sinfonia n. 82 (L'orso) di Haydn, la Serenata per archi di Dvorak e la Pastorale di Beethoven. Haydn è stato reso con una capacità straordinaria di far emergere la componente umoristica e gioiosa della partitura. Il secondo movimento ti buttava in pieno in una festa paesana in cui tutti si divertono, mentre nel minuetto eri coinvolto in danze elegantissime e sensuali nel contesto di un elegantissimo salone di corte. La resa di Dvorak è stata magistrale per la capacità di dosare le microdinamiche e i dettagli di una raffinata scrittura per gli archi: nel quarto tempo, lasciata sul leggio la bacchetta, la direttrice dialogava con l'orchestra con piccoli gesti delle dita cui gli strumentisti reagivano sempre in modo adeguato. Anche la Pastorale è stata notevole. In un pezzo così abusato, la Scappucci è stata capace di offrire un fraseggio originale e raffinato e un'attenzione peculiare per le seconde voci. Bravissima e una gran voglia di risentrla.

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16 ore fa, giobar dice:

Se vi capita a tiro, correte a sentire Speranza Scappucci, direttrice italiana con ormai solida carriera negli USA. L'ho sentita ieri in un sorprendente concerto con la sinfonia n. 82 (L'orso) di Haydn, la Serenata per archi di Dvorak e la Pastorale di Beethoven. Haydn è stato reso con una capacità straordinaria di far emergere la componente umoristica e gioiosa della partitura. Il secondo movimento ti buttava in pieno in una festa paesana in cui tutti si divertono, mentre nel minuetto eri coinvolto in danze elegantissime e sensuali nel contesto di un elegantissimo salone di corte. La resa di Dvorak è stata magistrale per la capacità di dosare le microdinamiche e i dettagli di una raffinata scrittura per gli archi: nel quarto tempo, lasciata sul leggio la bacchetta, la direttrice dialogava con l'orchestra con piccoli gesti delle dita cui gli strumentisti reagivano sempre in modo adeguato. Anche la Pastorale è stata notevole. In un pezzo così abusato, la Scappucci è stata capace di offrire un fraseggio originale e raffinato e un'attenzione peculiare per le seconde voci. Bravissima e una gran voglia di risentrla.

Dirigerà il Così fan tutte all'opera di Roma. Ero tentato di andarlo a sentire, se mi dici così andrò senz'altro.

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6 ore fa, superburp dice:

Dirigerà il Così fan tutte all'opera di Roma. Ero tentato di andarlo a sentire, se mi dici così andrò senz'altro.

Credo che ne valga la pena. A me è parsa davvero bravissima. Inoltre si porta appresso una fama particolare che conferma la sua preparazione e serietà professionale: non è giovanissima (41, credo) e la sua carriera è esplosa solo da poco tempo perché ha dedicato tantissimo tempo alla gavetta in teatro svolgendo tutte le funzioni di supporto musicale. Quindi avrebbe dalla sua una conoscenza minuziosissima di tutti i meccanismi delle produzioni operistiche e una grande capacità di entrare in relazione con tutte le figure professionali operanti nei teatri.

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  • 2 months later...

Ieri sera concerto straordinario per la riapertura del teatro D'Annunzio a Latina (è stato chiuso un annetto per adeguamento antincendio - giacchè c'erano potevano dargli una restaurata, ma evidentemente i soldi scarseggiano -).

Pappano e Piovano (1° violoncello di S. Cecilia) hanno suonato le due sonate di Brahms per violoncello e pianoforte e come bis il cigno dal Carnevale degli animali e poi Il volo del calabrone.

Il concerto è stato bello, Pappano devo dire mi piace più come pianista che come direttore. Ha un bel tocco e una buona varietà di sfumature dinamiche. Piovano anche mi è sembrato bravo, anche se verso la fine ho avuto l'impressione che gli acuti venissero meno "puliti".

Chi ha fatto una brutta figura è stato il sindaco, che era presente in sala e che punta molto sulla rinascita culturale della città, che non ha detto due parole per ringraziare i due musicisti, presentarli per chi non li conosce e farsi un po' bello come si fa sempre in queste occasioni. Invece nulla, Pappano e Piovano hanno suonato, si sono presi i tanti applausi del pubblico e poi sono andati via come fossero due qualunque. Mah.

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Sabato ho ascoltato il Tristan diretto da Gatti all'Opera di Roma.

La cosa più bella è stata proprio la parte orchestrale: Gatti è stato veramente eccezionale, seguito da un'orchestra inappuntabile. Giusto nei fortissimo più estremi le voci erano leggermente coperte, per il resto tutto perfetto.

I cantanti non mi son sembrati nulla di speciale (però direi che Isolde si è ripresa nel finale), ma ci vorrebbe il parere di un esperto come Wittel o Pink.

La regia purtroppo era un'idiozia: a parte le scenografie scarne e incomprensibili (muri mobili nel I atto, una specie di zanne di elefante gigantesche piantate nel terreno nel II ed una scatola nel III), non era coordinata alla musica. Eclatante l'inizio del duetto del II atto, con Tristan che arriva con quell'introduzione orchestrale caricata a mille e non degna Isolde di uno sguardo. Oppure Melot che non so perchè era un vecchio zoppo. O il fatto che Kurwenal e Melot che fino al II atto portavano delle parrucche con i capelli lunghi. Mah...

 

P.S.: I compagni di palco comunque dicevano che in Germania succede anche di peggio. Pare ci sia stato un Guglielmo Tell iniziato non con l'ouverture, ma con una pantomima, mentre l'ouverture è stata spostata nel mezzo del II atto...

P.P.S.: Durante il preludio del Tristan c'era pure una sorta di antefatto nella penombra del palco, con Isolde che prova a colpire Tristan con una spada che si scansa e fugge. Ripeto, mah...

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Sempre sabato, io invece ho assistito a un eccezionale recital di Olli Mustonen. Sebbene lo avessi visto un paio di mesi fa con l'orchestra nel concerto di Respighi (è fra i pochi grandi pianisti che lo suonano regolarmente), non assistevo a un suo recital da parecchi anni. Col tempo, devo dire, ha stemperato un po' della sua esuberanza clownesca che irritava molti spettatori. Non saltella più col sedere sul seggiolino; limita al massimo il suo gesto tipico di portare il braccio dritto in alto sopra la testa e di farlo poi calare sulla tastiera come la scure di un boia; forse ha fatto anche qualche terapia per limitare la sudorazione eccessiva, perché stavolta solo negli ultimi dieci minuti e nei bis ha preso ad asciugarsi con l'avambraccio come un muratore (non so perché ignori sempre l'esistenza dei fazzoletti...). Programma originalissimo e vario, come sempre per Mustonen. In apertura, Album per l'infanzia di Ciaikovski, 24 pezzi facili di varia impostazione. Mustonen ne ha dato una lettura davvero convincente, sapida e multicolore, evitando del tutto di lasciare nell'ascoltatore la consapevolezza che si tratta di pezzi per dilettanti o poco più. Rispetto all'unica registrazione che conosco, Mustonen appare molto più avvincente e ricco del pur grande Pletnev, la cui lettura mi sembra sottotono e troppo uniforme. Seguivano sei Mazurke di Chopin (op. 56 e 59). Solo qui Mustonen ha dato l'impressione di eseguire un autore che non fa per lui. Nella sua consuenta operazione di decostruire i pezzi per riplasmarli secondo il proprio disegno, ha scelto dei brani di Chopin che di per sé sono una sorta di immagine stilizzata e astratta della mazurka e il trattamento imposto dal pianista ha come risultato di presentare un discorso troppo spezzettato e vago per essere convincente. Ma è stata l'unica defaillance in un concerto che poi ha raggiunto vette eccelse. Seconda parte con i 15 pezzi dell'Album per la gioventù di Rodion Scedrin. Si tratta di una raccolta che, diversamente da quella di Ciaikovski, si indirizza a giovani interpreti tutt'altro che principianti o dilettanti. Alcuni anzi richiedono prestazioni tecniche di tutto rispetto. Nell'interpretazione fantasmagorica e spettacolare di Mustonen mi è parsa una raccolta di tutto rispetto, con molti bani addiritura geniali nel trasporre in linguaggio modernissimo ritmi e melodie popolari, nel creare atmosfere raffinatissime e nell'inventare parodie spassose: per esempio, uno dei pezzi si intitola "Suoniamo un'opera di Rossini" ed è una cascata di microcitazioni e patterns di stampo rossiniano che ottiene un effetto esilarante. Per finire, la più entusiasmante interpretazione della settima sonata di Prokofiev che abbia mai sentito. Davvero, davanti a questa lettura di Mustonen, secondo me, non ci sono né Argerich, né Pollini, né Richter, né Horowitz, né Bronfman... Già le prime battute sono un cataclisma: con la signora che ho a fianco ci guardiamo interrogativi: vuol rompere il pianoforte? E' una sorta di dichiarazione di guerra, sono note d'acciaio temperato, con un incedere implacabile in cui i temi sembrano venir fuori da una macchina e annientano l'ascoltatore con una imperatività che non ammette repliche. Sorprendente il secondo movimento letto in chiave blues, con una sinuosità e un'eloquenza degne di un coro gospel del Mississipi. Il Precipitato finale era una valanga parossitistica che travolgeva tutto e chiunque lasciando senza fiato. Straordinario il secondo bis in cui una marcia dal Romeo e Giulietta di Prokofiev si è trasformata in un'amara parodia di tutti i giochi di guerra e di violenza.

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  • 1 month later...
On 11/9/2016 at 15:19, giobar dice:

Credo che ne valga la pena. A me è parsa davvero bravissima. Inoltre si porta appresso una fama particolare che conferma la sua preparazione e serietà professionale: non è giovanissima (41, credo) e la sua carriera è esplosa solo da poco tempo perché ha dedicato tantissimo tempo alla gavetta in teatro svolgendo tutte le funzioni di supporto musicale. Quindi avrebbe dalla sua una conoscenza minuziosissima di tutti i meccanismi delle produzioni operistiche e una grande capacità di entrare in relazione con tutte le figure professionali operanti nei teatri.

L'altro giorno sono andato a sentire il Così fan tutte diretto da lei. Bella esecuzione, anche se è un'opera che conosco poco. Giusto si sentivano un po' poco i fagotti in certi punti in cui li avrei graditi di più, ma sono dettagli.

Anche i cantanti direi bravi, mentre la regia ridicola è dir poco (era ambientato in una classe scolastica...).

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È da poco finito il concerto di Gergiev che ha diretto il primo concerto per orchestra di Scedrin, il terzo concerto di Rachmaninov (solista un giovane ciano vincitore dell'ultimo premio Chopin) ed il Sacre di Stravinskij.

Complessivamente sono soddisfatto, mi è sembrato che Gergiev fosse in forma.

Giusto nel concerto di Rach il pianista copriva troppo spesso l'orchestra, ma come tecnica e suono mi è parso bravo. Certo, andrebbe sentito in un concerto più impegnativo per valutarlo come interprete.

Il Sacre me l'aspettavo più violento e selvaggio conoscendo un po' Gergiev, invece non è stato così spinto. Comunque l'esecuzione è stata vivace e soprattutto chiara, che per un pezzo del genere è fondamentale.

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La bella dormente nel bosco - fiaba musicale di Ottorino Respighi

Ieri sera sono stato a vedere quest'opera di Respighi, finalmente rappresentata dopo quasi cinquant'anni di oblìo. Anzitutto il titolo. Quello ufficiale, voluto da Respighi e presente nella partitura a stampa - è proprio La bella dormente nel bosco (e non "dormiente", come erroneamente riporta persino l'autorevole Deumm), ripreso pari pari dal titolo della fiaba di Perrault. Effettivamente, nella prima versione, del 1922, Respighi la presentò come La bella addormentata nel bosco, ma nel rifacimento del 1934, negli autografi del compositore e poi nella partitura pubblicata molto tempo dopo la sua morte il titolo è quello usato ora per la rappresentazione cagliaritana. E' un'opera assai originale, a prescindere dalla trama che riprende in modo fedele la fiaba. Infatti fu pensata da Respighi per il teatro delle marionette, con i cantanti relegati in buca con l'orchestra. E così venne data nel 1922, a cura della famosa compagnia di marionette di Podrecca. Particolare anche la ripresa del 1934, con qualche adattamento: in quella circostanza in scena andarono dei bambini come mimi e i cantanti erano sempre in buca. La prima versione con cantanti in scena fu realizzata dalla Rai nel 1967, ma fu utilizzata l'edizione realizzata da un allievo di Respighi con molte modifiche nella srumentazione, con aggiunte di pagine scritte ex novo e una ristrutturazione del finale. Si può dire allora che la prima rappresentazione della partitura originale in forma di opera vera sia stata quella di ieri.

L'opera è assai originale anche sotto altri profili. E' abbastanza breve e snella (meno di due ore, intervalli compresi), l'orchestra è ridotta all'osso (una quarantina di elementi), con presenza significativa di pianoforte, clavicembalo e celesta, ma l'opera può essere eseguita - secondo indicazioni dello stesso autore - addirittura a parti reali. Questo assicura una trasparenza e una luminosità formidabili del tessuto orchestrale. I personaggi sono molti e sebbene alcuni ruoli siano assai difficili, specie per l'estensione e l'agilità richieste ai cantanti, nessuno di loro ha grande spicco perché le parti relative sono abbastanza brevi. Ciò consente, in effetti, di far fare un figurone anche a una compagnia non eccelsa (ma nemmeno troppo scadente) come quella di ieri. Stilisticamente l'opera si inscrive nella vena fiabesca di Respighi. Non è un'opera per bambini, perché le raffinatezze costruttive e compositive ne fanno anzi un prodotto per un pubblico tutt'altro che sprovveduto, ma, come in molti altri suoi pezzi, Respighi attinge dal mondo dell'infanzia, sia nei temi o in semplici incisi melodici, che nelle modalità espressive. Dal punto di vista compositivo, l'opera è una sorta di riflessione sulla musica, perché, pur con un linguaggio assolutamente suo e sempre riconoscibile, Respighi mette il naso un po' dovunque evocando, ora in forma seria ora in modo parodistico, la musica del settecento, le danze popolari, la musica francese del secondo ottocento, Richard Strauss (menzionato esplicitamente persino nel libretto e presente con una citazione dalla Salome), Wagner (citazione parodistica dal Parsifal), Mahler, Weill, lo Stravinsky del Rossignol, fino a Gershwin e al musical americano (addirittura con un personaggio chiamato Mister Dollar e col finale in forma di vero musical in cui tutti sul palco ballano il foxtrot).  Nel complesso un'opera geniale, che non capisco perché sia rimasta assente dal repertorio. Alcune scene sono dei capolavori assoluti: penso, ad esempio, alla scena iniziale nel mondo della natura, col dialogo fra gli uccelli interrotto dall'araldo che annuncia la nascita della principessa, dove Respighi dà prova della sua maestria nel dar voce alla natura e agli animali, oppure alla scena del lutto a corte dopo che la principessa si è addormentata, trattata da Respighi senza alcun sentimentalismo ma anzi con una impostazione beffarda e straniante che richiama Kurt Weill.

Regia di Leo Muscato adeguata e simpatica. Scene e costumi semplici ed efficaci. Direzione superba di Donato Renzetti, che, da grande e intelligente musicista qual è, in operazioni del genere si getta a pesce riuscendo a convincere al primo ascolto anche con opere che nessuno conosce. Spero vivamente che ne facciano un disco perché è un'opera che merita di essere riascoltata.

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Verdi: Falstaff

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala diretti da Zubin Mehta

Falstaff

Ambrogio Maestri

Ford Massimo Cavalletti
Fenton Francesco Demuro
Dr. Cajus Carlo Bosi
Bardolfo Francesco Castoro
Pistola Gabriele Sagona
Mrs Alice Ford Carmen Giannattasio
Mrs Quickly Yvonne Naef
Nannetta Giulia Semenzato
Meg Page  Annalisa Stroppa

E con la celebre fuga finale "Tutto il mondo è burla" si conclude questo straordinario Falstaff diretto da quel vecchio volpone di Mehta che per l'occasione festeggia i suoi 55 anni di collaborazione con il Teatro alla Scala. Sicuramente un evento da ricordare e che si farà ricordare per la sua forte emotività trascinante carica di tinte malinconiche senza tuttavia perdere quell'ironia che da sempre caratterizza l'ultima fatica del compositore di Busseto. Ed è proprio il direttore indiano a sfoderare una prova sicura ed efficace nel tratteggiare una narrazione che non fa dei contrasti il suo punto di forza ma che dimostra unità e coerenza. Gli scatti di tensione vengono smorzati di continuo trasformando la vicenda del povero Sir John in una colorata sinfonia del buffo in cui non mancano alcuni elementi malinconici di cui ho accennato prima. In primis la regia di Michieletto vero punto di forza della messinscena ripresa da quella del Festival di Salisburgo del 2013. La scena riproduce gli interni della Casa di Riposo per musicisti che porta il nome del compositore e che fu costruita da Verdi insieme al fratello architetto del librettista, Camillo Boito. Posta in Piazza Buonarroti è proprio lei ad accoglierci prima dell'inizio con una riproduzione video su schermo e non è una scelta casuale. Ambientare il Falstaff all'interno di un ospizio con tanto di infermieri e coinquilini attempati del nostro cavaliere, trasferisce quel senso di fine che in fondo la stessa opera rappresenta nell'immaginario verdiano. Tutta la vicenda si sviluppa come un lungo e disincantato sogno vissuto dal protagonista, immerso nelle nebbie dell'inizio della prima scena, che crescono e creano un racconto tratteggiato e quasi etereo. E vedere Falstaff in pigiama regala sensazioni uniche quasi da sit com (solo al momento dei saluti finali vediamo il panzone con il suo storico costume di scena). La prova di Ambrogio Maestri è di quelle da ricordare, ormai vero cesellatore del personaggio, costruito, studiato e rifinito in più di 250 recite e in oltre 25 teatri, possiamo tranquillamente definirlo il Falstaff del momento. Il Ford di Cavalletti pecca forse di poca caratterizzazione, mentre note di merito importanti vanno alla Meg di Annalisa Stroppa, sicura e calzante per la parte, oltre che alla Naef che tratteggia una Mrs Quickly in grado di tenere testa perfettamente alla figura del vecchio provolone.

Complessivamente un Falstaff direi riuscito sotto molti aspetti, in grado di rileggere l'ultima delle creazioni del più celebre operista italiano in chiave sentimentale senza perdere quelle qualità di spensieratezza che l'opera deve possedere.

P.S.Non sono sicuro al cento per cento ma i vecchietti della scena finale dovrebbero essere i veri inquilini di Casa Verdi. :o

 

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Unico appunto, il regista si chiama Michieletto. Leggendo la tua recensione, vista l'originalità e l'intelligenza della regia, mi è venuto subito il parallelo con Il viaggio a Reims che a giugno vedrò all'opera di Roma (se vedi qualche estratto, è una regia molto originale e bella anche in quel caso - evidentemente ci sa fare -).

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27 minuti fa, superburp dice:

Unico appunto, il regista si chiama Michieletto. Leggendo la tua recensione, vista l'originalità e l'intelligenza della regia, mi è venuto subito il parallelo con Il viaggio a Reims che a giugno vedrò all'opera di Roma (se vedi qualche estratto, è una regia molto originale e bella anche in quel caso - evidentemente ci sa fare -).

Giusto mi è scappata una o al posto di una e :D

Ci farò casa se recuperi qualcosa in proposito e me la posti mi fa piacere.

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Guest zeitnote
4 minuti fa, superburp dice:

Unico appunto, il regista si chiama Michieletto. Leggendo la tua recensione, vista l'originalità e l'intelligenza della regia, mi è venuto subito il parallelo con Il viaggio a Reims che a giugno vedrò all'opera di Roma (se vedi qualche estratto, è una regia molto originale e bella anche in quel caso - evidentemente ci sa fare -).

Si vede che dopo la stucchevole e gratuita scena di stupro nel suo Guglielmo Tell si è dato una regolata.

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2 ore fa, Adam84 dice:

Giusto mi è scappata una o al posto di una e :D

Ci farò casa se recuperi qualcosa in proposito e me la posti mi fa piacere.

Ecco:

2 ore fa, zeitnote dice:

Si vede che dopo la stucchevole e gratuita scena di stupro nel suo Guglielmo Tell si è dato una regolata.

O forse rende meglio nelle opere buffe.

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  • 2 weeks later...

Ieri ho sentito Batiz che ha suonato la Patetica di Beethoven, la 2.a sonata e la Polacca op.53 di Chopin (più il primo movimento della sonata facile di Mozart, il finale dei Quadri di Mussorgskij ed un pezzo certamente di Schumann che non conoscevo).

Non pensavo, mi è sembrato un interprete solido, che ha un'idea ben precisa della struttura del pezzo. I tempi in Beethoven erano tendenzialmente lenti, con alcuni ritardi più romanticheggianti inseriti con senso della misura.

Visto lo stile mostrato con Beethoven, Chopin doveva essere ancora meglio ed in effetti così è stato (per quanto non sia un grande amante di Chopin, in particolare mi infastidisce il finale della sonata).

Belli anche i bis (giusto i Quadri eseguiti un po' superficialmente). Tecnicamente ci sono stati un po' di punti sporchi, ma vista la sua attività prevalentemente da direttore e le condizioni fisiche (ha 74 anni, ma gliene avrei dato più di 80, sarà stato che è stato a giocherellare con la dentiera tutto il tempo) ci sta.

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1 ora fa, superburp dice:

Ieri ho sentito Batiz che ha suonato la Patetica di Beethoven, la 2.a sonata e la Polacca op.53 di Chopin (più il primo movimento della sonata facile di Mozart, il finale dei Quadri di Mussorgskij ed un pezzo certamente di Schumann che non conoscevo).

Non pensavo, mi è sembrato un interprete solido, che ha un'idea ben precisa della struttura del pezzo. I tempi in Beethoven erano tendenzialmente lenti, con alcuni ritardi più romanticheggianti inseriti con senso della misura.

Visto lo stile mostrato con Beethoven, Chopin doveva essere ancora meglio ed in effetti così è stato (per quanto non sia un grande amante di Chopin, in particolare mi infastidisce il finale della sonata).

Belli anche i bis (giusto i Quadri eseguiti un po' superficialmente). Tecnicamente ci sono stati un po' di punti sporchi, ma vista la sua attività prevalentemente da direttore e le condizioni fisiche (ha 74 anni, ma gliene avrei dato più di 80, sarà stato che è stato a giocherellare con la dentiera tutto il tempo) ci sta.

e cioè ? :o:D

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