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Domanda sulle tonalità


superburp
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E' il libro che da mesi mi sono riproposto di comprare e che avevo citato in un post precedente. Solo che la pila di libri ancora da leggere mi trattiene per ora.

Dalle recensioni mi sembra di capire che si tratti di un testo divulgativo e molto "romanzato". Se non ricordo male qualcuno diceva che non utilizza nemmeno partiture.

Questo invece:

e' un lavoro piu' accademico, che utilizza un approccio analitico.

L'ho preso proprio perchè sfogliandolo mi è sembrato avere un approccio facile (per ora lo preferisco, se poi vorrò approfondire prenderò anche l'altro). Comunque lo devo ancora leggere, l'ho solo sfogliato (e mi pare che qualche spartito ci sia, ma non ci metto la mano sul fuoco).

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E quindi per voi queste differenze ci sono e le avvertite chiaramente o no?

Ho fatto qualche prova a casa col pianoforte suonando accordi diversi e le diverse impressioni erano legate più alla sequenza degli accordi che agli accordi in sè.

Se lo strumento è accordato come si deve (ovvero... "se è accordato") non dovrebbe avvertirsi differenza tra un accordo in sè e un altro accordo in sè. Se invece usciamo dall'ambito del sistema tonale temperato/equabile tutto è possibile, ma allora quelle non sono più tonalità come se fossimo nell'ambito del sistema temperato. Lo scopo, o uno degli scopi, del sistema temperato è proprio quello di definire e uniformare. E di far si che un accordo in sè suoni come un altro accordo in sè.

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Se lo strumento è accordato come si deve (ovvero... "se è accordato") non dovrebbe avvertirsi differenza tra un accordo in sè e un altro accordo in sè. Se invece usciamo dall'ambito del sistema tonale temperato/equabile tutto è possibile, ma allora quelle non sono più tonalità come se fossimo nell'ambito del sistema temperato. Lo scopo, o uno degli scopi, del sistema temperato è proprio quello di definire e uniformare. E di far si che un accordo in sè suoni come un altro accordo in sè.

Spiegami una cosa, perché -da profano- non ci sto capendo molto. Nel temperamento equabile, è possibile individuare la tonalità in cui è scritto un pezzo anche se non si ha l'orecchio assoluto (e quindi non si distingue se la nota iniziale -poniamo- è un do o un dodiesis)?

Detto in termini "matematici": la tonalità di un pezzo è invariante per trasposizione (cioè è invariante per moltiplicazione di tutte le frequenze per una costante fissata) oppure no?

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Allora, per quel che no so io (e se ho capito bene la domanda, ma forse no) la risposta alla prima parte della domanda è no. Se non si ha un orecchio assoluto in grado di distinguere tra due note, non c'è teoricamente maniera di individuare e riconoscere una tonalità e di distinguere una tonalità dall'altra. Questo per quanto riguarda la pura teoria. Se invece, nella pratica, prendo un brano (magari conosciuto) in do maggiore e lo trasporto in sol maggiore, c'è la concreta possibilità che mi accorda della differenza. Ovviamente, in primo luogo, perchè è tutto più acuto. In secondo luogo, per ragioni fisiche, è molto probabile che le note del singolo strumento musicale non abbiano tutte le stesse identiche caratteristicge fisiche. Detto ciò io ritengo che se alzo un pezzo del minimo possibile (un semitono), solo chi ha un orecchio assoluto è in grado di accorgersi della differenza. Ciò, da solo, fa cadere tutta la teoria delle tonalità che dovrebbero possedere delle caratteristiche espressive proprie e riconosciute in termini condivisibili. Un pezzo "gioioso" in do maggiore, rimane "gioioso" anche in do diesis maggiore. Ascoltiamo in continuazione vecchie registrazioni più o meno pirata, calanti e crescenti, ma non ho mai sentito nessuno lamentarsi del fatto che l'"umore" del pezzo ne sia modificato. Ci si lamente, al massimo, del fatto che il suono cala o cresce, perchè è effettivamente così.


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Detto ciò io ritengo che se alzo un pezzo del minimo possibile (un semitono), solo chi ha un orecchio assoluto è in grado di accorgersi della differenza. Ciò, da solo, fa cadere tutta la teoria delle tonalità che dovrebbero possedere delle caratteristiche espressive proprie e riconosciute in termini condivisibili. Un pezzo "gioioso" in do maggiore, rimane "gioioso" anche in do diesis maggiore. Ascoltiamo in continuazione vecchie registrazioni più o meno pirata, calanti e crescenti, ma non ho mai sentito nessuno lamentarsi del fatto che l'"umore" del pezzo ne sia modificato.

Eppure abbiamo un esempio in cui si mostra quanto la stessa sinfonia in do# minore suoni meglio se trasposta in do minore (da 4:49 in poi):

http://www.youtube.com/watch?v=QbhA7NRZTZ0

Tocca dire, però, che Kraus non s'è limitato a modificare gli accidenti in chiave, passando da quattro foschi e anteromantici diesis a tre battaglieri bemolli, più in tono con la sua epoca. Ci sono anche dei sapienti ritocchi che hanno influito sul passaggio da do# a do minore, a cominiciare dalle battute iniziali. Modifiche significative che non riguardano solo il Finale, ma anche tutta la sinfonia (il minuetto viene addirittura escluso nella versione in do minore, per ragioni di concisione e di manifesta antipatia dell'autore nei confronti dell'impiego delle danze in ambito sinfonico).

Fermo restando che il tono dell'opera resta effettivamente invariato, da do a do# minore, o anche a mi minore o a sol bemolle minore, e che sono d'accordo con Eduard. Forse è ora di sfatare il mito delle tonalità e delle loro supposte caratteristiche. Ho uno spartito del Chiaro di luna in re minore e non credo che molti, ascoltandolo eseguito, si accorgerebbero della differenza rispetto allo stesso brano suonato in do# minore.

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Sì, ma è tutta diversa, è ovvio che suona diversamente (sul meglio o sul peggio non so dire). Basta far caso ai bassi più presenti e poderosi nella seconda versione.

Proprio tanto diversa no... Da qualche parte in forum dev'esserci anche un confronto dettagliato tra le due versioni.

OT: probabilmente uno dei motivi della trasposizione era costituito dalle maledizioni che gli orchestrali mandarono a Kraus per aver scritto la sinfonia in una tonalità così ostica per gli archi :D ("A Krà, pòi sceglie': do minore o re minore, ma in do diesis la fai suonare a tua zia")

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Qui il confronto:



http://www.musica-classica.it/forum/index.php?/topic/8284-i-sinfonisti-e-i-concertisti-minori-del-700/?p=314750 (sinfonia in do# min.)


http://www.musica-classica.it/forum/index.php?/topic/8284-i-sinfonisti-e-i-concertisti-minori-del-700/?p=313222 (sinfonia in do min.)



In merito al finale:



"L'Allegro conclusivo [della Sinfonia in do#] manca del preambolo presente nel gemello in do minore (la carica ascendente degli archi), ma per tutta l'esposizione segue il medesimo percorso, salvo il fatto che, naturalmente, sul finire mancano le battute ricorrenti dell'incipit, che qui farebbe lo stesso effetto d'un corpo estraneo.



Lo sviluppo, pur insistendo maggiormente sull'inizio del secondo tema, è più breve anche se comprende lo stesso numero di melodie significative. Nell'altra Sinfonia, infatti, veniva anticipata immediatamente un'infiorescenza del primo soggetto che invece in questa compare molto più avanti, e solo in minore. Ma tutto sommato queste differenze, seppur melodicamente rilevanti, non cambiano l'effetto sull'ascoltatore e un confronto tra le due composizioni finisce per diventare solo un'analisi minuziosa di temi, senza che si rilevi un divario nella qualità, e anche l'inclusione o l'esclusione del Minuetto non pare decisiva in tal senso."


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Allora, per quel che no so io (e se ho capito bene la domanda, ma forse no) la risposta alla prima parte della domanda è no. Se non si ha un orecchio assoluto in grado di distinguere tra due note, non c'è teoricamente maniera di individuare e riconoscere una tonalità e di distinguere una tonalità dall'altra. Questo per quanto riguarda la pura teoria. Se invece, nella pratica, prendo un brano (magari conosciuto) in do maggiore e lo trasporto in sol maggiore, c'è la concreta possibilità che mi accorda della differenza. Ovviamente, in primo luogo, perchè è tutto più acuto. In secondo luogo, per ragioni fisiche, è molto probabile che le note del singolo strumento musicale non abbiano tutte le stesse identiche caratteristicge fisiche. Detto ciò io ritengo che se alzo un pezzo del minimo possibile (un semitono), solo chi ha un orecchio assoluto è in grado di accorgersi della differenza. Ciò, da solo, fa cadere tutta la teoria delle tonalità che dovrebbero possedere delle caratteristiche espressive proprie e riconosciute in termini condivisibili. Un pezzo "gioioso" in do maggiore, rimane "gioioso" anche in do diesis maggiore. Ascoltiamo in continuazione vecchie registrazioni più o meno pirata, calanti e crescenti, ma non ho mai sentito nessuno lamentarsi del fatto che l'"umore" del pezzo ne sia modificato. Ci si lamente, al massimo, del fatto che il suono cala o cresce, perchè è effettivamente così.

Grazie dell'esauriente risposta (che, tra parentesi, è anche una risposta alla seconda domanda)!

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  • 2 weeks later...

Avrei qualche domanda sul tema: posto che si possa mettere la questione in termini così netti, quando avviene il passaggio dal temperamento naturale a quello equabile? Un Vivaldi o un Handel, ad es., che temperamento usavano? Gli autori più noti del barocco, come gli stessi Vivaldi o Handel, al giorno d'oggi, con quale temperamento vengono eseguiti? E ci sono state alcune categorie di musica classica per le quali si è continuato ad usare i temperamenti naturali, mentre il passaggio a quello equabile era già avvenuto in altre?



Quante domande, magari faccio meglio a leggermi i libri che sono stati segnalati :D


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