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Le recensioni operistiche discografiche di Wittelsbach


Wittelsbach

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Prima o poi la prenderò, questa edizione. Vorrei ascoltare il Mozart di Muti, per vedere se esiste una terza via tra le pesantezze germaniche e le follie del filologicamente corretto (come se la caverà Jacobs?) E poi c'è Margaret Price. Credo che esista anche un boxino con tutte le opere Mozart/Da Ponte di Muti.

Esiste, esiste, ed è roba da cacciatori dell'usato:

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Escludi dalle pesantezze germaniche l'incisione di Erich Kleiber e assumila non come terza ma prima e principale via di accesso al capolavoro mozartiano. La leggerezza, la fantasia, la capacità di dare un colore diverso ad ogni frase e di narrare in modo avvincente anche con un'arcata dei violini o un'inciso dei legni, la tensione che unisce l'opera dalla prima all'ultima nota hanno (secondo me, è ovvio) del miracoloso. Muti un po' ci si avvicina, e condivido il buon giudizio di Wittelsbach, ma gli manca la raffinatezza di Kleiber sr.

Sottoscrivo la tua bella nota, Giobar, e confermo che l'orchestra di Erich Kleiber, per precisione, brillantezza di tinte e vitalità, è di gran lunga la migliore di tutta la discografia delle Nozze.

Il lato debole di questa edizione sta in una parte del cast. Infatti mentre Siepi, la Gueden, la Danco e la Della Casa sono validi, il resto della compagnia canta male,

su tutti il tenore Alfred Poell che distrugge letteralmente il personaggio del Conte, con un canto che definirei irritante, semiafono, bolso e legnoso oltre che pressochè del tutto inespressivo:


/>http://www.youtube.com/watch?v=tMewdfzTT5U

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Sottoscrivo la tua bella nota, Giobar, e confermo che l'orchestra di Erich Kleiber, per precisione, brillantezza di tinte e vitalità, è di gran lunga la migliore di tutta la discografia delle Nozze.

Il lato debole di questa edizione sta in una parte del cast. Infatti mentre Siepi, la Gueden, la Danco e la Della Casa sono validi, il resto della compagnia canta male,

su tutti il tenore Alfred Poell che distrugge letteralmente il personaggio del Conte, con un canto che definirei irritante, semiafono, bolso e legnoso oltre che pressochè del tutto inespressivo:

Come diceva quella vecchia pubblicità che certamente ricordi: "sì, vabbè, ma l'Ancillotto?". Si può dire ciò che si vuole su Poell e sulle parti minori, ma ciò che riesce a fare Kleiber è indescrivibile. Più volte ho ascolato l'incisione concentrandomi esclusivamente sulla parte orchestrale e spesso mi è venuto da sognare che Kleiber dovesse aver studiato la partitura con Anton Webern, tale è la minuzia nel cesellare ogni singola nota avendo sempre di mira 'effetto complessivo e la capacità di trasformare ogni frase in un pozzo di espressività senza fondo. E poi, scusa, un Figaro simpatico, trascinante, vero e non macchiettistico come quello di Siepi non l'ho ancora trovato.

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Sottoscrivo la tua bella nota, Giobar, e confermo che l'orchestra di Erich Kleiber, per precisione, brillantezza di tinte e vitalità, è di gran lunga la migliore di tutta la discografia delle Nozze.

Il lato debole di questa edizione sta in una parte del cast. Infatti mentre Siepi, la Gueden, la Danco e la Della Casa sono validi, il resto della compagnia canta male,

su tutti il tenore Alfred Poell che distrugge letteralmente il personaggio del Conte, con un canto che definirei irritante, semiafono, bolso e legnoso oltre che pressochè del tutto inespressivo:


/>http://www.youtube.com/watch?v=tMewdfzTT5U

Ti dirò però che secondo me Corena in questa registrazione canta meglio del solito, perchè reprime gran parte del suo cattivo gusto. Il risultato è un Bartolo divertente ma autorevole, sicuramente molto più gradevole e solido di tanti altri (mi viene in mente ad esempio Montarsolo nel DVD con Bohm)
/>http://www.youtube.com/watch?v=61_avryQL2M&feature=fvsr
/>http://www.youtube.com/watch?v=qMfVF2x2JEk

Concordo sul plauso al Figaro di Siepi, che anch'io ammiro molto.

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Ti dirò però che secondo me Corena in questa registrazione canta meglio del solito, perchè reprime gran parte del suo cattivo gusto. Il risultato è un Bartolo divertente ma autorevole, sicuramente molto più gradevole e solido di tanti altri (mi viene in mente ad esempio Montarsolo nel DVD con Bohm)
/>http://www.youtube.com/watch?v=61_avryQL2M&feature=fvsr
/>http://www.youtube.com/watch?v=qMfVF2x2JEk

Che Corena canti meglio del suo solito, Rinaldino, è vero, forse sarà anche, come tu dici, "divertente e autorevole" ma Bartolo si può cantar meglio. In Corena pesa anche qui il canto virulento, con l'accento caricato e il timbro artificioso.

Che canti meglio di Montarsolo (che è ruvido e vociferante e a 1:55, nel sillabato "Se tutto il codice dovessi volgere..", sembra di ascoltare una pentola di faglioli che bolle) è pur vero, ma è la storia dell'orbo in un mondo di ciechi.

Ecco, per la fonazione netta e la dizione rifinita nonchè per il fraseggio misurato e sagace, un esempio egregio dell'aria di Bartolo:


/>http://www.youtube.com/watch?v=s-ls5P-0B2w

Abbastanza bene ( ma Tajo è meglio) anche Enzo Dara, qui diretto da un giovane Muti:


/>http://www.youtube.com/watch?v=JxPzdIcWmuo

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Il Bartolo che mi piace di più è quello di Ivo Vinco con Giulini!

Vinco canta bene la sua aria, con voce soffice e pastosa. Dipana il sillabato con austera leggerezza e, a dire il vero, tutta la sua aria è lontana dalle esagitazioni d'accento e dalle buffonerie sopra mercato e ha un'impronta pensosa e volitiva, riflessiva e determinata , come di chi è chiamato a risolvere un problema, a escogitare una soluzione.


/>http://www.youtube.com/watch?v=Garn2l6bd0o

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Edizione che la Decca pubblicò in svariate "salse", e che oggi, scaduti i diritti cinquantennali, è stata ristampata da svariate case.

Il pregio maggiore di questo Elisir è senza dubbio la qualità tecnica. Siamo nel 1955, e la Decca già registrava in stereofonia, con un suono ovunque ricco, calibrato, estremamente spaziale, ben diverso, per dire, dalla EMI.

Purtroppo le note liete, a parer mio, finiscono qui.

Anzitutto, Francesco Molinari Pradelli mostra di non "sentire" minimamente il clima languido di quest'opera. La sua è una direzione sgarbata, metronomica, tendente alla pesantezza, come già esplicano le prime battute del preludio. L'orchestra del Maggio Fiorentino suona molto bene, ma serve a poco se è manovrata come una clava, in maniera rozza e insensibile.

I cantanti? Pure loro lasciano a desiderare. La migliore è Hilde Guden, star viennese dagli immensi meriti, straussiana somma (parlo sia di Richard che di Johann), ottima mozartiana. Qui, certo, canta in modo impagabile, con suoni cristallini e squisiti. Ma il personaggio è lontano anni luce dalle sue corde. Abbiamo dunque un'Adina imbambolata, che "suona" in modo spesso ammirevole, ma con un'astrazione che uccide qualunque credibilità teatrale. Accanto a lei, un Giuseppe Di Stefano che viceversa mostra di voler approfondire solo il lato sempliciotto e contadinesco di Nemorino, lasciandone in ombra l'idealizzazione patetica e un po' francesizzante. La voce è ancora assai bella, ma il canto è gridato a squarciagola, aperto dalla prima nota all'ultima. Non si sentono suoni abominevoli (e anzi qualche fioritura, tipo "Volo tosto a ricercar", sarebbe anche riuscita nella sua brunita rotondità, peraltro subito contraddetta da un acuto all'impiccata emesso subito dopo), ma la forzatura è ovunque avvertibile. Si capisce poi, intepretativamente, perché Adina non ne voglia sapere di impelagarsi con quello che sembra l'antesignano di moderni bulli da discoteca.

Le voci gravi? Lasciamo perdere. Renato Capecchi, dall'emissione spessa e cavernosa, è un Belcore dagli accenti seriosi e lugubri, oltre che dagli acuti voluminosi ma spinti oltre misura, per non parlare delle numerose rozzezze di fraseggio.

Corena, che qui è Dulcamara, all'epoca interpretava secondo due direttive: o sovraccaricava tutto, introducendo camuffamenti vocali di tutti i tipi; o cantava tutto forte, pesante, monocorde. Qui diciamo che segue la seconda "scuola": un Dulcamara privo di qualsiasi sottigliezza di fraseggio, sbraitato dalla prima all'ultima nota, con una dizione sgradevole che spesso elimina le consonanti doppie. La voce è ricca e ampia, ma banalizzata da un'emissione che la rende un poco legnosa, povera di vero legato e ricca di suoni strangolati sugli acuti. Anche i sillabati non sono troppo fluidi, mentre la canzone del senator Tredenti ci risparmia per fortuna la vocina biascicata che escogitano quasi tutti, lasciandoci però, una volta di più, una grossa sensazione di pesantezza, antitesi della leggerezza imprescindibile in questo brano.

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Tempo fa stavo per acquistare questo Elisir, poi scelsi quello Bonynge, Pavarotti, Sutherland, che, devo dire, non mi ha esaltato. Direzione di Bonynge alquanto confusa, Sutherland gelida e dalla dizione che conosciamo, Pavarotti indubbiamente notevole ma meno spontaneo che in certi video. Su tutti, si staglia il Dulcamara di Spiro Malas, un vero cane. Forse giudico troppo negativamente questo Elisir così celebrato, ma con un Dulcamara del genere...

Comunque grazie Wittels, se mai mi tornasse la tentazione di prendere l'Elisir con Di Stefano mi ricorderò la tua bella recensione.

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Pur essendo un Distefaniano doc scrivo che purtroppo questa registrazione dell' elisir doveva essere fatta almeno un 5 anni prima e allora saremmo stati davanti a un signor Nemorino, invece ammetto che nel 1955 sia la voce che il gusto di Pippo non erano più adatti alla parte e infatti non capisco come mai molte recensioni parlino assai bene di questo elisir.

Invece il Pavarotti-Nemorino della edizione Bonynge non emette una nota fuori posto ed è pressochè perfetto, però,ricordo che per assurdo ciò che in tutta questa stupenda interpretazione non mi convinse fu proprio la furtiva lagrima (a mio parere per colpa di Bonynge) che la trovai ineccepibile da un punto di vista musicale ma un pò fredda.

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Pur essendo un Distefaniano doc scrivo che purtroppo questa registrazione dell' elisir doveva essere fatta almeno un 5 anni prima e allora saremmo stati davanti a un signor Nemorino

Anche dieci anni prima, Alfio. Nel '45, giovanissimo (23 anni), registra a Losanna qualche brano dell'opera. Il reperto sonoro è fortunoso ma ne esce comunque un Nemorino

straordinario per freschezza vocale, levità d'accento, giovanile spontaneità:


/>http://www.youtube.com/watch?v=cvbjSuHQOfY&feature=related

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Il Dulcamara di Malas è indecente, Corena al confronto è un capolavoro.

Però anche Corena con quel fraseggio parodistico al quadrato, fatto di sistematici raddoppi di consonante ( v. a 0:19, "Comprattela, comprattela per pocch'io vella do"), di guaiti a tradimento, di portamenti sgangherati, con quel timbro pieno e pastoso eppure artefatto, ce la mette tutta per essere più che comico, direi poco serio.

Il video "fregoliano" che segue poi è una chicca da non perdere....

http://www.youtube.com/watch?v=8tfzqmsIYFM

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Edizione storica dell'Idomeneo, di sicuro.

Eppure, è un'edizione che ha pochissimo smalto italiano.

La cosa migliore è la direzione: un Bohm di passo svelto, ma all'occorrenza capace di far rifulgere i passi epici o eroici che qui non mancano.

Aggiungiamoci l'eccellenza della Staatskapelle di Dresda e del coro radiofonico di Lipsia (particolarmente sollecitato).

Al passivo di Bohm va ascritto tuttavia l'atteggiamento nei confronti della struttura dell'opera, mutilata da tagli brutali, che spesso fanno capolino addirittura all'interno di certe arie, come quella sublime di Arbace, in cui nessuna nota meriterebbe di essere espunta.

Quello dei cantanti è un gruppo eterogeneo.

Il tenore polacco Ochman non sarà un fenomeno, ma è superiore a quasi tutti i tenori più o meno mozartiani in auge all'epoca: bel timbro, emissione un poco "stretta" ma non dura o forzata. Bello anche il fraseggio, che esprime bene la dolente grandezza che di Idomeneo costituisce la cifra principale.

E' tenore anche Idamante (si segue l'ultima versione dell'opera), solo che Schreier è un disastro di suonacci sbiancati e legnosi, per giunta resi comici dalla pronuncia italiana davvero improbabile.

Il terzo tenore, Hermann Winkler, si disimpegna con Arbace senza far soffrire troppo.

Delle donne, Edith Mathis è un'Ilia delicata, fine e sensibile. Julia Varady è poi un'Elettra alquanto aggressiva e imperiosa, cantata anche abbastanza bene.

Buchner strilla in maniera invereconda i declamati del Gran Sacerdote, mentre i tagli di Bohm ricadono perfino sull'intervento della Voce, il bravo Siegfried Vogel.

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Sigh, nessuna risposta?

Be', Wittels se ti può far piacere la tua recensione mi ha convinto a procurarmi quanto prima quell'Idomeneo. Da qualche tempo Carletto Bohm sale sempre più di nella mia considerazione. Posso solo aggiungere che Schreier, di cui riconosco tutti i limiti tecnici e naturali, ogni volta che l'ho ascoltato (anche se soprattutto come liederista, ma non solo) mi è sembrato un artista di intelligenza interpretativa acutissima. Però magari qui è disastroso come dici tu, senza appello.

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Sigh, nessuna risposta?

Trovo ineccepibile la tua nota su questo Idomeneo , caro Wittel. Non saprei che altro aggiungere. Tutto sommato, come tu osservi, il protagonista è Bohm e la pecca dei

tagli era un po' una moda di quei tempi.

Due parole sul tenore Ochman che fu numerose volte Idomeneo. Aveva un timbro discreto e una corposità vocale di tutto rispetto, da autentico lirico puro.

La tecnica non era rifinitissima (qualche apertura nei centri, acuti non levigatissimi e spesso congestionati, mezzevoci falsettistiche) ma perveniva ugualmente ad una apprezzabile gamma di intensità e di tinte.

In mancanza su yuotube dell'Idomeneo lo ascoltiamo in un delizioso duetto di Lehar:


/>http://www.youtube.com/watch?v=bluKp5PK8Ug&feature=related

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Posso solo aggiungere che Schreier, di cui riconosco tutti i limiti tecnici e naturali, ogni volta che l'ho ascoltato (anche se soprattutto come liederista, ma non solo) mi è sembrato un artista di intelligenza interpretativa acutissima.

In tedesco è verissimo.

In italiano molto meno, complice la pronuncia assurda che gli preclude qualunque vero fraseggio.

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Questo Trovatore di Karajan è raramente ricordato, al confronto con quello anni Cinquanta con la Callas e quello di Salisburgo che piace tanto a Pinkerton (a me un po' meno, ma piace sempre).

Riascoltata oggi, questa registrazione del 1977 ha certamente lacune, ma anche molti pregi.

Anzitutto, la direzione. Questo è il Trovatore che Karajan può definire come totalmente "suo" (quello degli anni Cinquanta era costruito attorno alla Callas). La sua direzione è una delle più belle che si possano sentire su disco. Karajan si lascia dietro i battisolfa anonimi alla Erede, oppure certi direttori banalmente ritmici e fracassoni, creando una vera selezione di antiche miniature medievali, immergendo la vicenda in un clima cavalleresco e arcano paragonabile a quello lancinante del Tristano di Wagner. Già l'inizio è notturno, felpato, scandito. L'attenzione al colore e al suono è massima. Insomma: una delle tante letture davvero rivelatrici che Karajan aveva saputo escogitare negli anni Settanta.

Con un cast del livello paragonabile al suo Don Carlo, o anche all'Aida, questo sarebbe stato un Trovatore capolavoro. Non lo è invece, per colpa di alcuni cantanti.

Bonisolli per esempio è una catastrofe. Aveva già cantato con Karajan, ma la sua scelta appare veramente inspiegabile. Un tenore che sarebbe stato adatto alla smaltatissima atmosfera karajaniana, avrebbe potuto essere Veriano Luchetti, che proprio con la Emi effettuer ottime incisioni. Ma non era certo un nome "di richiamo". Bonisolli, a quanto pare, lo era. Ma all'epoca era un Bonisolli che già si era singolarmente indurito rispetto a 10 anni prima, anche nei famosi acuti, che comunque erano di facilità più apparente che reale, tendenzialmente spinti com'erano. Il timbro era qualunque, il legato poco curato, l'emissione non solidissima anche se vagamente corretta o quasi, il talento interpretativo poco spiccato. Cosa ci faccia qui è un mistero, dato che vocifera fin dal "Deserto sulla terra", mentre dopo è anche peggio. Ogni tentativo di addolcire la voce gli estorce suoni strani, soffocati, senili. Ma nemmeno i declamati sono soddisfacenti, perché la voce manca di squillo e nitidezza, e la scansione non ha imperiosità. Spara qualche Do decente nella pira, ma poco altro ci sarebbe da aggiungere. Non è un Manrico, è un tenore che svolge un compitino provinciale.

Voglio sperare che nessun fan dello sfortunato cantante trentino voglia leggermi, giacché molti di loro hanno un contegno ben poco rispettoso delle critiche. Sono dei fanatici della peggior specie.

Leontyne Price viceversa, nonostante qualche recensione negativa, secondo me in questo ruolo, uno dei suoi più famosi, ha ancora moltissimo da dire. Si può far notare che il registro basso ormai è opaco e velato, ma in un mondo discografico per cui sono passate le Leonore della Gencer e della Carena, dobbiamo scandalizzarci per una Price in leggero declino? Il settore medio-alto della voce è intatto e lucente. La pronuncia è sempre esotica, le agilità forse non sono fosforescenti ma l'incisività e la passionalità dell'accento è tutta da ascoltare. Una Leonora degna di Karajan.

Così come degno antagonista è il Conte di Luna: Cappuccilli sfodera il solito timbro fuori dal comune, facile e pieno di suono. Difettucci? Qualche acuto lievemente "sparato" e percussivo, anziché tondo e morbido; oppure, qualche mezzavoce affetta da opacità. Cosette minuscole, in una raffigurazione appassionata e impetuosa, veramente verdiana.

Elena Obraztsova invece passa solo accanto al suo personaggio, tramutato in una scostante megera come spesso capita. All'epoca, la cantante russa stava facendo cose egregie alla Scala. Qui, si comincia a percepire l'ostentazione che avrebbe preso il sopravvento negli anni successivi: i facilissimi acuti sono ancor più sottolineati, al punto che la spinta costante li rende metallici, a volte vicini all'urlo, spesso tendenti all'intonazione crescente. Viceversa i suoni bassi sono un gorgoglio unico, ingolati, intubati, pigiati nelle cavità toraciche. Una cantante che sembra cantare con tre voci. L'interpretazione non esula, dicevo, dal cliché della zingara furente.

Migliore Raimondi come Ferrando, sicuramente molto più ben cantato di quanto non sia la norma (esattissime le agilità, squillanti gli acuti), anche se il timbro cominciava a baritonalizzarsi. Inoltre, il personaggio è ben raffigurato, ma costellato di svariate parole sbagliate, come all'inizio, quando "i veroni della sua cara" diventano "della sua MAGA" (nessun editing?).

Piuttosto accettabili gli altri, buono il coro.

Straquoto da cima a fondo caro Wittel, anche se con Bonisolli forse sei eccessivamente severo. E, come giustamente ricordi, in questi dischi è la direzione davvero "lunare" di Karajan che resta indelebile nella mente. Chi mai, prima e dopo, ha mostrato una tale attenzione per la tavolozza orchestrale di questo lavoro cosiddetto "popolare"???

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Una grande edizione dello Chenier, che non ha nulla da invidiare a quella mitica Decca di Gavazzeni, e anzi per qualche aspetto la supera.

Non nella conduzione orchestrale però. Se la confondiamo con l'interpretazione incandescente di Gavazzeni (le rare volte che si scaldava era imperioso), quella di Santini fa l'effetto di uno stagno limaccioso. L'orchestra dell'Opera di Roma ha un suono meno pregevole rispetto a Santa Cecilia, ma quello è il meno: la battuta di Santini, malgrado qualche discreto accompagnamento, è tendenzialmente piatta e uniforme. Il quadro della festa aristocratica quasi non si distingue dalla scena del processo, tanto per dire. I momenti più drammatici sono plumbei e cadenzati con indifferenza. All'attivo di Santini, che purtroppo qualche anno dopo sarebbe scomparso, restano, dicevamo, certi accompagnamenti.

Il cast è complessivamente ragguardevole. Corelli non avrà certe scansioni roventi alla Del Monaco, ma innegabilmente il legato e il modellato della linea vocale sono molto ma molto migliori: Chenier non ha da essere soltanto un rivoluzionario scarmigliato, ha intere pagine di canto dolce e legato che passa spesso per il passaggio di registro. Del Monaco, che pure aveva un discreto passaggio, non riusciva a sostenere bene le note in quella fascia (preferiva quelle sopra e sotto), sicché il duetto con Roucher faceva udire qualche suono difficoltoso, e "Come un bel dì di maggio" non era esattamente perfetto. Viceversa Corelli in questi momenti ci sguazza con tranquillità, malgrado certi attacchi al singhiozzo. Poi, non è nemmeno il caso di ricordare lo squillo del registro alto nell'Improvviso e nei duetti più drammatici. Non è poeta quanto Gigli, ma lo Chenier di Corelli è una sintesi quantomai gradevole di eroismo, gioventù e amore.

Antonietta Stella, sottovalutatissima come sempre, è un'Amelia che non è certo inferiore alla Tebaldi, anzi la sorpassa in certi fraseggi vulnerabili e giovanili, dimostrandosi oltretutto in confidenza sia con gli acuti che col registro basso.

Mario Sereni, notevole baritono dell'epoca, è un Gerard sfumato, di buoni chiaroscuri, dinamico, di bella voce anche se si getta troppo di peso sugli acuti, col risultato di indurirli.

Di gran lusso le parti minori, col sottovalutatissimo Giuseppe Modesti che è un morbidissimo Roucher; l'Incredibile di Piero de Palma; il Mathieu sopra le righe ma di voce ancora ragguardevole di Montarsolo.

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  • 4 weeks later...

2409855-ruggero-raimondi-il-trovatore.jpg

Non è un Manrico, è un tenore che svolge un compitino provinciale.

Voglio sperare che nessun fan dello sfortunato cantante trentino voglia leggermi, giacché molti di loro hanno un contegno ben poco rispettoso delle critiche. Sono dei fanatici della peggior specie.

certo se ti esprimi in questi termini cosa ti aspetteresti in replica?

comunque questo sarebbe il tenore che svolge un "compitino provinciale"? fallo tirare ai tenori di provincia questo sovracuto finale dal vivo....e siamo già nel 1985...8 anni dopo...


/>http://www.youtube.com/watch?v=HDbj9la1mps

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Come ho già detto altrove, dei sovracuti aggiuntivi m'interessa poco o nulla.

Non condivido la visione viscerale e loggionistica di alcuni ascoltatori, secondo i quali cantare consiste nell'emettere qualche acuto più o meno sensazionale.

Una cosa del genere può andare bene in un recital, o in un disco di brani scelti.

Nella globalità di un'opera, l'acuto acrobatico, magari aggiuntivo, conta poco rispetto alla resa complessiva dei segni d'espressione, del legato, del fraseggio.

Bonisolli fa bene gli acuti? Lo sapevamo già. Ma un acuto è solo un suono, alla fine.

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