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Otello di Giuseppe Verdi Teatro Petruzzelli di Bari 22 gennaio 2013 direttore Keri-Lynn Wilson regia Eimuntas Nekrosius maestro del Coro Franco Sebastiani Otello Clifton Forbis Desdemona Julianna Di Giacomo Jago Claudio Sgura Emilia Sara Fulgoni Cassio Francisco Corujo Roderigo Massimiliano Chiarolla Lodovico Luca Tittoto Montano Roberto Abbondanza Orchestra e Coro della Fondazione Petruzzelli Produzione Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari "Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.": mi è venuta in mente la famosa frase di Prospero - altro Shakespeare - guardando Jago che con le forbici ritaglia dal drappo nero del teatro il fazzoletto "più sottil d'un velo", convincente prova dell'infedeltà di Desdemona. È l'«Otello» del Petruzzelli, l'«Otello» di Verdi e di Boito, certo, ma soprattutto l'«Otello» di Eimuntas Nekrošius, il grande regista lituano. Quel quadrato di stoffa - stoffa di sogno - è inconsistente reliquia di teatro, pegno della nostra estraneità di spettatori rispetto a quanto sulla scena accade ma, al tempo stesso, catartico segno del nostro essere trascinati all'interno dell'azione e del dolore, su quelle tavole del palcoscenico. E ciò non può avvenire che per sottrazione, eliminando, cioè, quanto di superfluo e di ingombrante e distraente può intervenire - realismo di scena, costumi, oggetti - in una messa in scena teatrale, per sostituirli - per restituirne la funzione - con un buio denso attraversato da fasci di luce in movimento e da altri - stranianti straniati strambi come il ditirambo di Jago - oggetti-simbolo. Così anche la stessa scena, sempre divisa in due parti ben separate: c'è una metà, destinata di volta in volta all'azione di Jago - soprattutto - al lento ma sicuro proceder del suo veleno, ai suoi monologhi, ai suoi dialoghi, all'esasperata tessitura della tela; l'altra parte, ovale piattaforma inclinata, è il luogo - a volta a volta - destinato ai punti focali della vicenda, il trionfo di Otello, l'amore coniugale, l'amicizia leale e disinteressata, fino a diventare la camera da letto dove si consuma il sacrificio finale. Il fazzoletto nero, dunque, ricavato da un ritaglio di teatro. Ma c'è anche un altro fazzoletto, bianco, stavolta, anzi di un abbagliante candore: è il fazzoletto del terz'atto, quello con cui Desdemona cerca di alleviare la crescente sofferenza di Otello. Di fronte a questo fazzoletto, illuminato da luce bianchissima, anzi, inginocchiato di fronte ad esso, come si trattasse anche in questo caso di una reliquia, Otello canta la sua disperazione e il suo risentimento contro quel suo Dio che tanto - finora - gli aveva concesso. Questo fazzoletto candido è ciò che resta del "miraggio" in cui aveva creduto, "quel sol, quel sorriso, quel raggio" di cui e per cui ha vissuto fino a quel momento. È dunque con l'inesausta potenza evocativa dei simboli e dei gesti degli attori e del coro che Necrošius costruisce il suo «Otello», dipanando pian piano la tela della sua costruzione. Così il buio nero della follia avvolge i duellanti del primo atto, "come se un pianeta maligno avesse a quelli smagato il senno"; e che dire delle grandi ali di colomba, l'innocenza di Desdemona, con cui la protagonista quasi spicca il volo accompagnata dal coro dei bambini, e che poi accoglieranno dopo la morte il suo corpo, insieme a quello di Otello, ormai ricongiunti nel silenzio della morte - scena, quest'ultima, costruita come il finale d'«Aida», con Cassio novella Amneris a vegliare d'alto gli amanti morenti - come una doppia bara; o la nera poltrona a cui Jago rivolge il suo "credo", trono divino del maligno dio adorato da Jago, su cui non a caso Otello siederà preda del suo delirio distruttivo; e ancora il personaggio-simbolo di Emilia, moglie sì di Jago e ancella di Desdemona, ma nella visione del regista personificazione stessa della gelosia e dell'invidia. Il ruolo di Desdemona diventa cruciale, il questa visione. E così quello della sua interprete, l'americana Julianna Di Giacomo, sempre bene in parte e con voce drammaticamente adatta. Non altrettanto si può dire di Otello, il tenore Clifton Forbis, anche se la sua prova, del tutto inadeguata nel primo atto, sale di livello col passar del tempo. Il grande Jago disegnato da Claudio Sgura - baritono in sicura ascesa - credo resterà come una delle cose migliori viste in questi ultimi tempi. Ottima anche la prova del direttore Keri-Lynn Wilson, e della giovane orchestra del Teatro: considerando il poco tempo trascorso dalla sua formazione è a dir poco miracolosa l'eccellente prova fornita. Uno spettacolo, in definitiva, sicuramente ben al di sopra della media.