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Come quel personaggio di Doris Lessing anch'io mi pongo spesso la domanda: "Che cosa ho visto?". Serve a riassaggiare sensazioni saporose, riemergere rimosse ricordanze, ricapitolare vissuti inconsci o presunti tali. Consiglio di provare. Io lo farò tra poco insieme a chi mi legge rivivendo lo spettacolo cui ho assistito al mio bel San Carlo (gli amanti del Poeta mi perdonino la licenza ed il crossover tra i santi…). L'opera di cui parlo è il Barbiere di Siviglia che ho visto qualche giorno fa, ma prima permettetemi di riassumere che cosa ho (abbiamo) letto ed ascoltato della prima. Ho letto di nervi a fior di pelle per rivendicazioni dei lavoratori in guerra; ho letto di stecche dei (mezzo)soprani, di poco brio dei direttori, di poca voce dei baritoni, di sipari incagliati ed incidenti vari, di pubblico diviso tra i fan e i detrattori dell'alcalde… pardon! del sindaco; ho letto tanto che mi son chiesto se eravamo nel 2014 o tornati indietro di un paio di secoli, nel fatal 1816, al tempo del più famoso fiasco del teatro d'opera. Il Barbiere, si sa, reclama periodicamente le sue (a volte innocenti) vittime. È mancato solo il gatto. Ma io, due giorni dopo, che cosa ho visto? Ho visto uno spettacolo rilucente come pochi, in scene sontuose affastellate a ricreare un colorato cartoon mediterraneo invaso dalla luce - nostra signora luce - che allumava maioliche oltremare arrossate canarine: a me ricordava le terre colorate del nostro mare, della lusitania dell'iberia o della nostra santachiara: ho visto le scene disegnate dalla sapienza e dalla gioia di quel grande che - ormai - fu Luzzati. Ho visto la regia sapiente di chi si dà giusta misura nelle cose, che sottrae più che aggiungere, che restituisce chiaro il senso di una storia e di una vicenda, che è commedia ma non farsa né favola, che vuol con la risata affermare i diritti di una classe che allor nasceva, del Figaro già borghese contrapposto al nobile borioso, al ricco prepotente, al viscido lacché. Ho visto un'opera - il cui motore non è l'amore, come nelle sue nobili consorelle - ma l'oro, il denaro, celebrato dalla prima all'ultima scena: e quale più cogente motivo d'attualità? Ho visto la stessa misura nella lettura della partitura da parte di un grande direttore quale è Bruno Campanella, soprattutto in questo tipo di repertorio. La sua direzione mi è parsa raffinatissima elegante come la musica che interpretava per noi. I suoi tempi ad alcuni son parsi lenti: a mio modesto avviso - arrivo ultimo buono - le sue scelte mi son sembrate giuste, alternando i tempi agili e veloci ad altri più sfumati e malinconici. Siamo ormai nel 1816, l'epoca dei Pergolesi Cimarosa Paisiello è già passata, la grande stagione dell'opera comica è nella parte discendente della parabola e forte è la contaminazione delle avvisaglie di quel che si chiama - si chiamerà - romanticismo. E Rossini - che reinventa il genere - è di casa propriamente qui. Ho visto - ho ascoltato - una voce bellissima, quella di Marianna Pizzolato: tecnica sicura, voce morbida e corposa, grande professionalità. Le sue forme generose non mi sono mai parse un limite, anzi una marcia in più nel delineare una Rosina piena di temperamento - secondo tradizione - ma anche di grazia e forte simpatia. Il Lindoro di Edgardo Rocha non ha voce di gran volume, ma forte negli acuti: ha cioè il classico stile agile e virtuosistico del tenore di grazia. Ho visto il giovane Figaro di Sergio Vitale - si farà questo giovanotto casertano, si farà - fornito da madre natura di un bel timbro e di un fisico esuberante; aggiunge di suo la buona precisione accompagnata da spigliatezza e simpatia. Ho visto un Don Basilo - di Ugo Guagliardo - che non ha il physique du rôle d'anziano untuoso precettore («Già, è maestro di musica!») ma che possiede - invece - spessore bel timbro e grande intensità interpretativa. E poi, last but not least, il Dottor Bartolo di Carlo Lepore risulta di grande efficacia: visto di recente nel ronconiano Falstaff barese - in cui dava prova di una raggiunta maturità musicale e drammatica - il basso napoletano si conferma interprete misurato dal timbro di voce vibrante e di bel colore: molti applausi per lui alla fine. Ho visto un Barbiere nato nel '99 ma che intatta conserva freschezza luminosità godibilità; ho visto (rivisto) - senza annoiarmi un sol attimo - una vicenda che pure conosco ahimè a memoria. E alla fine, poco prima che Figaro smorzi la lanterna, mi ritrovo a pensare che un po' la vicenda potrebbe insegnar qualcosa a tutti i coinvolti nelle aggrovigliate vicende che attraversano e scuotono il nostro Teatro in questi giorni. E poi penso pure, però, che ognuno cercherebbe d'acconciarsi addosso la vicenda come meglio crede: chi è il furbo faccendiere pronto ad ogni colpo di mano? E il borioso potente prepotente e pieno di sé? E chi il vecchio avido di giovinezza e di ricchezze? Per non parlare del laido servo fabbricante di menzogne... In preda a questi tormentosi meditabondi pensieri lascio il teatro ché «qui più non ho che far». Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini direttore Bruno Campanella regia Filippo Crivelli (ripresa da Mariano Bauduin) con Sergio Vitale, Carlo Lepore, Marianna Pizzolato, Edgardo Rocha, Ugo Guagliardo, Marta Calcaterra, Francesco Verna e con Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo maestro del Coro Salvatore Caputo scenografie Emanuele Luzzati costumi Santuzza Calì Napoli, Teatro di San Carlo, 16 gennaio 2014 in scena dal 14 al 29 gennaio 2014
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