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Pinkerton

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Su Pinkerton

  • Compleanno 27/08/1952

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  • Sesso
    Maschio
  • Luogo
    Travagliato ( Bs)
  • Interessi
    opera lirica, poesia e altre cose di cui non so il nome

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I successi di Pinkerton

4000 sono pochi!

4000 sono pochi! (9/21)

  1. Di questa edizione, Ives, interessante è la direzione di Levine per lo slancio e la concitazione dei momenti più appassionati. La Scotto interpreta con talento ma la voce è a disagio nel settore acuto. Domingo non è in forma come nel '73 con Bartoletti e neppure come nell'84 con Sinopoli dove è affiancato da Mirella Freni, pucciniana doc, che forse non eguaglia la Caballe' ma che comunque offre una prova di alto livello. Tenore e soprano cantano veramente bene il duetto del secondo atto: A Maja, Ives, Snorlax e Wittel.
  2. Della Manon Lescaut, Maja, probabilmente l'edizione più riuscita è quella diretta da Bartoletti, con la Caballe' all'apice della forma e Domingo molto convincente nel duetto del I° Atto per la trepida sensualità della sua voce calda e pastosa:
  3. Peter Kelen, Wittel, nel "Lamento di Federico" esibisce una dinamica varia e appropriata ma stacca un tempo eccessivamente lento che rasenta l'inerzia. Inoltre è in difficoltà in qualche mezzavoce che risulta opaca se non soffocata. Rispetto a Dvorski poi vanta un canto più vario e sorvegliato, ma gli è inferiore come bellezza timbrica: Tutto sommato in quest'aria l'esecuzione di riferimento è ancora questa:
  4. Il Des Grieux di Campagnano ricorda Del Monaco nella tecnica di emissione. Nessuno dei due padroneggia le mezzevoci e, come osserva Wittel, forse gli acuti di Campagnano sono più squillanti là dove il timbro di Del Monaco è più pregiato. Del Monaco però, come interprete, appare più coinvolto e ispirato:
  5. Ziliani attacca il "Parigi o cara" assecondando il tempo troppo rapido staccato da Sabajno: ne viene fuori una cosa metronomica e ai limiti dell'espressività, con, in sopramercato, l'acuto finale leggermente calante. La colpa però, si badi bene, non è del cantante ma del direttore. Per confronto l'attacco eccellente, per espressività, adesione ritmica e controllo dell'emissione, di Carlo Bergonzi, qui con la Caballe': Irrinunciabile nondimeno resta la versione storica di Tito Schipa e Amelita Galli Curci:
  6. Anche se l'audio è quello che è, Maja, si capisce che De Marchi canta il "Vittoria! Vittoria!" molto bene. La voce è timbrata,la dizione nitida e l'accento incisivo, carico un misto di gioia e rabbia. rendendo perfettamente l'indicazione "con grande entusiasmo" della partitura; il cantante inoltre, prima di attaccare, ci mette anche una pausa che accresce la tensione. Nulla a che vedere con il solito atletismo "ci do finché ne ho" sul Si bemolle acuto, stentoreo e a perdifiato, a cui siamo abituati, sostanzialmente gratuito e ostentato, oltre che molto spesso al limite della forzatura, che poi, per debito di fiato, mette a repentaglio la scansione delle frasi successive.
  7. In questo duetto, Wittel, è curiosa la caratterizzazione dei personaggi: la Caniglia è una Tosca materna, volitiva e quasi autoritaria, mentre Gigli è un Cavaradossi filiale, giovanile e spensierato. Dal punto di vista strettamente tecnico -vocale, per calibratura di emissione, facilità di articolazione e bellezza di suono, nessun tenore della discografia supera Gigli. In sede espressiva però Bergonzi gli è superiore.
  8. Grazie Wittel. Concordo con la tua recensione forse troppo generosa nei confronti di Infantino che, pure aggraziato, risulta troppo falsettistico nelle mezze voci e nelle agilità, oltre che tendenzialmente lezioso. Qui nel duetto del I° Atto con Figaro tutto sommato se la cava, là dove Taddei fa valere la sua voce pastosa e cordiale, un'ampia varietà di colori e un senso del ritmo straordinario sorretto da un sillabato spettacolare. Se non di riferimento certo una delle esecuzioni più riuscite di questo duetto:
  9. In questa edizione del '66, Maja, la Caballe', allora all'apice della forma, si fa preferire alla Sutherland per la pronuncia migliore e Kraus risulta più in stile rispetto ad Aragall, mentre la Verrett non può rivaleggiare con la Horne e anche Perlea è inferiore a Bonynge.
  10. Grazie Snorlax. Alla tua bella nota aggiungerei che la Sutherland, peraltro belcantista egregia, non è perfetta per via di qualche impaccio nella pronuncia. Di riferimento invece è la direzione di Bonynge, qui in una delle sue prove più convincenti per equilibrio, eleganza, nitore timbrico ed espressività. Ciò è evidenziato, come tu osservi, dall'eccellente registrazione. La sala d'incisione DECCA di allora era in assoluto la migliore.
  11. Anche questa è un'idea che toglierebbe il capolavoro verdiano da una situazione imbarazzante. È probabile, Keikobad, che Baracchini con questa messa in scena abbia voluto attualizzare la vicenda, modernizzarla, rendendola più credibile ai giorni nostri. Che ci sia riuscito e quanto ci sia riuscito è argomento di discussione. Il nucleo drammatico di Traviata è l'impossibilità individuale di amare quando l'individuo si scontra le convenzioni etiche della società in cui vive. Evidentemente Baracchini pensa che ai tempi nostri la condizione di cocotte non sia abbastanza scandalosa per mandare a monte una relazione con un giovanotto di buona famiglia. Allora trasforma Violetta in una transgender e il gioco è fatto. Il vero problema, a questo punto, è la musica di Verdi, il quale tutto avrebbe immaginato fuorché una simile trasformazione della sua eroina. Peccato che non si possa più chiedergli il suo parere a riguardo.
  12. Grazie Snorlax e complimenti per la spigliata recensione. La Opolais mi ricorda molto la Tebaldi nella fonazione delle intensità piene, voluminosa ma un po' dura e lievemente "indietro". Il timbro non è altrettanto pregiato e questo si evidenzia nelle intensità attenuate che risultano flebili e falsettistiche. Né deriva uno squilibrio dinamico che, accanto a un "legato" alterno, compromette la linea di canto.
  13. Sono appena tornato dal Teatro Grande di Brescia dove oggi pomeriggio è stata data la seconda recita della discussa Traviata con la regia di Luca Baracchini. Il quale,durante il Preludio Atto I°, inscena l'antefatto, una pantomima in cui un uomo si compiace davanti a uno specchio dei suoi abiti femminili per poi dover constatare con suo disappunto di non essere una donna. A questo punto scompare dietro allo specchio per subito ricomparire con le fattezze di Violetta. Intanto il preludio finisce ma il pubblico è informato che la V.Valery che vedrà e ascolterà per tutta l'opera in realtà è un uomo che ha cambiato sesso. Se qualcuno non l'avesse capito a ricordarglielo ci pensa l'attore alter ego di Traviata, che compare più volte, rigorosamente in mutande, durante la recita. Oltre a ciò va segnalato che al II°Atto, nella festa in casa di Flora, il coro delle zingarelle è formato da un'eterogenea compagine sadomaso che se la prende prima con il Marchese d'Obigny (complice Flora) e poi nientemeno che con Alfredo in persona, per l'occasione mascherato da toro destinato a essere sacrificato dai subentranti toreri. Detto ciò passiamo all'esecuzione: il giovane Maestro Enrico Lombardi dirige senza lampi ma con equilibrio ed ordine l'orchestra e il coro. La Violetta di Cristin Arsemova è in più punti animata ed espressiva ma difetta negli estremi acuti, puntualmente forzati, fissi e striduli. Il tenore Valerio Borgioni è un Alfredo forse troppo remissivo ma che canta con misura e correttezza di emissione. Censurabile invece è il baritono Vincenzo Nizzardo, quasi sempre stentoreo e monocorde e che nel lungo duetto con Violetta giunge ad essere irritante per la pressoché totale mancanza di pathos e per i continui e ripetuti errori nelle dosature dinamiche. Anche nel cantabile "Di Provenza" non si copre di gloria. Fatte salve le buone intenzioni del regista, tutto sommato è proprio la cattiva prestazione del baritono, il vero aspetto negativo di questa recita.
  14. Fra tutte, ma dico tutte, le edizioni, in studio e live, dell'Otello questa è sicuramente al primo posto da un punto di vista strettamente vocale. I tre protagonisti, Del Monaco, la Tebaldi e Protti, colti all'apice dei mezzi e tutti in gran forma, sopravanzano nettamente nei rispettivi ruoli, ogni altro tenore, soprano e baritono, che abbia registrato l'opera completa. La direzione di Erede invece è piuttosto scolastica e spesso si limita ad accompagnare queste tre grandi voci.
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