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Lunare (11/21)
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Un po' heavy e senza entusiasmo questo Chailly, come resa complessiva (i tempi sono giusti eh), sembra che gli dia un taglio troppo romantico per essere una registrazione contemporanea. E poi diciamo che quel 9 world premiere è abbastanza un tranellone pubblicitario ... ti aspetti chissà quali tesori e poi ti ritrovi con un pugno di marce (la marcia più interessante peraltro era già edita altrove). Io dal canto mio segnalo questo cd, che oltre alla sinfonia contiene il Canto sulla morte di Haydn, che è una composizione molto bella: Faccio notare che il tema dei corni che apre l'opera verrà preso di peso da Verdi nel suo Don Carlos (è proprio identico). E poi, se si tollera un suono non impeccabile (ma comunque buono), c'è zio Arturo, molto nel suo: L'eredità di Haydn qui è davvero pesante (con una maggiore ossessione contrappuntistica), anche se molti passaggi melodici e alcune figurazioni degli archi sembrano proprio richiamare Mozart. Credo che però Cherubini attinga proprio alle fonti, cioè al genere dell'ouverture di scuola napoletana (Schumann stesso osservò che Cherubini non tradì mai quest'imprinting). In questo senso l'abbinamento con Cimarosa nel cd di Toscanini può essere azzeccato.
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Sì ricordi bene! e secondo me la voce di Caruso era perfetta per questo ruolo, e in generale per questo repertorio (che negli ultimi 20 anni di vita frequentò assiduamente): brunita, non estesissima in alto ma capace di falsettare, e soprattutto dal grandissimo impatto emotivo. Tempo fa parlammo di Rubini, ecco se per i ruoli rubiniani ci voleva la grazia ultraterrena di Gigli, per questo repertorio francese di metà Ottocento credo serva il rovello interiore tutto terreno di una voce "moderna" come quella di Caruso. La registrazione ovviamente la conoscevo, una delle sue più celebri. Grande ascolto!
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Vabbè ma questo è assurdo... sto ascoltando Cherubini! 😮 perchè è successo che ho trovato una registrazione di Anacreon, opera praticamente introvabile, e l'ascolto ha scavalcato tutta la lista che mi ero fatto, passando così in cima. Considerando il contesto di provincia, è anche un'esecuzione discreta (la cosa peggiore forse è l'orchestra, pur ben governata da Ferro) e i cantanti sono complessivamente bravi. L'opera è più una sinfonia con interventi vocali (secondo me ancor più di Faniska), praticamente all'opposto di Medea ha zero drammaturgia, però la musica è top! Bisogna immaginarsi un soggetto d'estetica lulliana musicato da Beethoven (questa e le Due giornate sono forse le opere da dove Beethoven ha attinto maggiormente). Incredibile che questa roba sia così ignota, non sarò mica l'unico ad avere questi gusti accidenti! Il libretto: https://www.gbopera.it/wp-content/uploads/2022/10/Anacreon.pdf Il requiem in re è unico, per come è scritto e orchestrato, più originale ed emozionante del più famoso requiem in do, davvero un testamento artistico e spirituale. C'è nella musica sacra di Cherubini una forte dimensione personale, che però riesce ad avere una statura universale, come accadeva ancora ai grandi di quel periodo. Tra arcaismo e sperimentazione (ci sono delle armonie che sembrano rinascimentali), sono l'equivalente degli ultimi quartetti di Beethoven. Bella la sinfonia, o forse dovrei dire ingegnosa, come un ingranaggio, ma probabilmente non era nel suo. Certo che non si giustifica una così scarsa esposizione, girano da secoli sinfonie scritte molto peggio.
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@Snorlax Madiel ti dirà che ti basta questo: e comunque lascia stare Penderecki, dimmi qualcosa sul grand-opéra! rinsaldiamo l'asse italo-francese!
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E' sempre successo così perchè queste opere si sono fatte senza cognizione di causa, un po' come si faceva il barocco in epoca pre-filologica. Eppure, secondo me è un repertorio - quello del grand-opéra di metà ottocento, di cui Halevy fa parte - che ha grandi potenzialità. Certo, se si prova a farlo come lo faceva Gavazzeni alla Scala ripiomberà sempre nell'oblio. Pensiamo al rilancio che ha avuto l'opera barocca: Handel, Vivaldi, Rameau si fanno in ogni dove da decenni, eppure sono lunghi e "pesanti" per il concetto di drammaturgia moderna (una sequela interminabile di numeri solistici alternati a recitativi secchi, argh!). Nonostante ciò, la potenza della filologia, il coinvolgimento di grandi interpreti (a partire dai direttori), le regie iperboliche e spettacolari, come lo spirito barocco impone del resto, hanno fatto di questo repertorio un fenomeno moderno di grande successo, e non una bizzarra curiosità come era negli anni '50/'70. Perchè allora il grand-opéra, che in un certo senso guarda a questo formalismo barocco un po' eccessivo, non può essere rivitalizzato? Le vicende storiche e culturali raccontate in queste opere potrebbero inoltre essere facilmente rilette in un'ottica d'attualità, molto più facilmente (scusate se insisto) di certi miti e leggende nibelungiche. Minkowski (che già ha fatto rinascere Gluck, letteralmente) sta dimostrando di crederci davvero, e di farlo con cognizione di causa, a partire dai famosi Ugonotti di una decina d'anni fà. Qualcosa da allora si è mosso, a livello di allestimenti nel mondo, e ultimamente anche a livello editoriale (Bru Zane fà tutto l'800 francese da Cherubini e Massenet con grandi risultati, un repertorio fino a ieri considerato muffoso e potenzialmente senza pubblico). La sua Juive mi interessa anche perchè può essere un ennesimo importante passaggio. Quanto a Spyres, ci vedi bene, dato che ha già in repertorio il Tell, il Poliuto (versione francese, che volevo pure ascoltare, dato che è ovunque recensita benissimo) e due o tre titoli di Meyerbeer. Direi che è proprio nel suo, del resto questo repertorio è esattamente a metà tra il Rossini serio e Berlioz, credo i due autori che frequenta di più (e il suo Rossini lo vorrei assolutamente rimendiare, ah il tempo!). Mi chiedo perchè, a seguire questo criterio, non facciamo pure un bel taglio alla terza sinfonia di Mahler! Anche Minko, a quanto pare, è costretto a sottostare alla politica dei tagli imposta dai teatri, ma nessuno mi venisse a raccontare che il motivo vero è l'ispirazione incostante della musica (trovatemi un'opera di 4 ore che vola tutta altissima), o i difetti nella drammaturgia (che rapportiamo sempre a concetti troppo contemporanei), il problema è far funzionare uno spettacolo così lungo rispetto ad un pubblico sempre meno ricettivo alla "lungaggine", almeno, questa è l'idea che ho. Epperò, torniamo a bomba, se fai uno spettacolo come i Troiani (che pure non brilla per sinteticità e costanza d'ispirazione), con un grande sul podio come Gardiner, grandi personalità sul palco, e scene spettacolari, la gente non solo si sorbisce le 4 e passa ore, ma alla fine ne vuole ancora, per dire che si può fare, ci vuole un po' di coraggio e di genialità. @Snorlax tu che dici? mi sa che sei l'unico fan di questo repertorio presente in sala...
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Non conosco quest'edizione, credo di qualche anno precedente il dvd che ho segnalato, che è quest'allestimento qui: Oltre che la Stoyanova e la Ivan non hanno niente da invidiare alla Varady e alla Anderson, oltre che il tenore Zhang canta molto bene Leopold e con un timbro simile a quello di Carreras (che sarebbe stato più indicato in questo ruolo, per inciso), qui c'è una performance di Shicoff per me strepitosa, almeno a livello emotivo. Ora, qualcuno dirà che la vocalizzazione è difficoltosa, che c'è qualche trucchetto, è vero, il cantante era peraltro già ultracinquantenne, però lo spirito tragico di quel che doveva essere Adolphe Nourrit, l'interprete per cui questa parte è stata scritta, è restituito in una maniera incredibilmente realistica, seppure con un gusto più moderno. Il centro dell'opera è il personaggio solitario e controverso dell'orafo ebreo, dilaniato da sentimenti contrastanti di amore paterno e di desiderio di vendetta verso i cristiani persecutori, se non si ha a disposizione un tipo di tenore che regge la parte psicologicamente inutile montare quest'opera. Sono molto curioso di sapere Minkowski cosa ha combinato, si giova del bravo John Osborn, con una navigata esperienza nel repertorio romantico belcantista:
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Niente, me lo volevo risentire. La voce ha ancora un suo appeal ma... gesù è "tutto forte", alla Pippo Di Stefano ultima maniera. Ma soprattutto, che schifezze di editing facevano all'epoca i tecnici? al minuto 5.13 l'acuto è letteralmente incollato nel peggiore dei modi.
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Anche io lo credo più interessante, musicalmente, di Meyerbeer. Il giovane Wagner deve aver guardato a lui (prima di diventare antisemita), ma è noto che Mahler adorasse quest'opera, fors'anche per le sue sonorità ebraiche, che anche lui adopererà (non l'abbiamo detto ma si sa che molti dei personaggi citati erano accomunati dall'essere ebrei, Halevy componeva addirittura per la sinagoga). Rossini in generale è una fonte di ispirazione diretta, ma a sua volta Rossini si riaggancia ad una tradizione di melodramma francese ben più antica. Già in epoca barocca si distinguevano due tipi di tenore, diciamo uno più baritonale e uno più svettante (contraltino). Sono categorie che oggi non comprendiamo più perchè da almeno 150 anni si canta in modo diverso, sono spariti falsetti e falsettoni nei registri acuti, non esistono quasi più i suoni fissi o i vibratini "belanti" e altre mille cose. Il protagonista di Juive era Nourrit, un tenore scuro, di baricentro baritonaleggiante e dal carattere votato al tormento e all'introversione, che di tanto in tanto era capace di svettare in alto, con registri di testa. Oggi questi ruoli sono tutti risolti di petto, ragion per cui per cantarli si prendono tenori molto atletici (pensiamo a come negli anni '60 si stava costruendo la carriera di Corelli, che cantò Ugonotti, Poliuto, e che aveva pronto il Guglielmo Tell, tutti ruoli Nourrit), ma così si perde molto del carattere e del colore pensato dall'autore. Éléazar non ha questi slanci nella scrittura, ragion per cui è finito nel repertorio di diversi tenori "maturi" (lo stesso Caruso lo cantò a fine carriera). L'altro tenore invece, quello che nella Juive fa Leopold (e nel Robert le diable fa Raimbaut, per esempio), è invece un tenore più chiaro e svettante, ad esempio qui sentiamo Florez: Per dire che c'era sempre una contrapposizione voce elevata/voce profonda, voce chiara/voce scura, che corrispondeva a diversi temperamenti, e questo anche tra le donne (perchè in queste opere ci sono pure i due soprani!). Nella Juive per esempio (ma tal quale negli Ugonotti) c'erano la Dorus-Gras e la Falcon (oggi i ruoli Falcon li fanno i mezzosoprani). In Francia questo assetto è rimasto per diversi decenni, pensiamo ai due soprani del Don Carlos! Mah io mi ricordo un Carreras proprio deludente. E già che Carreras non era quasi mai un fulmine (aveva solo un bel timbro, diciamolo), ma poi poveretto... metà opera l'ha incisa prima e metà dopo la malattia, a distanza di tre anni! se ci si fa caso si avverte questa cosa. Comunque non mi risulta sia integrale. Qualcuno si è divertito su youtube ad assemblare tutti il materiale dell'opera partendo da diverse registrazioni, ammesso che sia un lavoro attendibile l'opera intera durerebbe 4 ore e 20 (ma del resto, che grand-opéra è se no?!).
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Negli ultimi vent'anni abbiamo avuto una vera rinascita del grand-opéra, un genere considerato baraccone (e lo è in effetti) e privo di contenuti (e qui si sbaglia). La generazione dei grandi direttori intellettuali si guardava bene dall'avvicinarsi a Meyerbeer, Halevy, Auber ecc., autori di musica esteriore considerata povera di risvolti filosofici. In Italia ci ha provato timidamente Muti (e chi se no?) ma... vi immaginate Abbado o Sinopoli alle prese con questa roba? Oggi, che le pippe sono finite, possiamo rileggere serenamente questo repertorio (che tanto deve a Rossini, per inciso) che fatto nella maniera giusta può avere ancora qualcosa da dire al mondo contemporaneo (per me molto più di Wagner, per inciso pure questo). Molto bello è ad esempio quest'allestimento - con un notevole Shicoff - di un po' di anni fa, ambientato durante il nazismo, che riscatta l'ostracismo che quest'opera ebbe durante il Reich (e oltre direi): Se c'era un posto in passato dove questo repertorio poteva attecchire, beh quello era ovviamente il MET! Magari non tutti sanno che il più grande Éléazar della storia recente è stato l'immenso Richard Tucker (di cui io sono notoriamente fan), che nel 1975 avrebbe dovuto partecipare ad una nuova produzione del MET con Gedda, Sills e la direzione di Bernstein (l'unico grande del podio che poteva rivitalizzare queste opere negli anni '70). Tucker morì poco prima della "prima". Ci rimangono testimonianze live di Tucker nel ruolo, ed una selezione incisa per RCA, l'ultima sua testimonianza in studio, a 60 anni, ancora una prova di grande classe: dedica a @zippie @Pinkerton @Wittelsbach e @Snorlax che è fan del genere. PS: notare dalla finezza della melodia, di carattere ebraico, alla scrittura strumentale (legni e pizzicato degli archi) come Halevy fosse tutt'altro che un dilettante baracconaro, anzi forse era anche più raffinato del suo rivale tedesco. edit: non essendo più sintonizzato su questo repertorio, scopro solo ora che Juive è andata in scena pochi mesi fa a Ginevra diretta da Minkowski. Purtroppo ormai c'è solo l'audio disponibile (e dire che io l'app di Arte ce l'ho pure installata sulla tv, dovrei solo aprirla di tanto in tanto!). Comunque, a giudicare dalla durata (3 ore scarse), è la solita versione condensata per il pubblico moderno; non si capisce perchè se a durare cento ore è Wagner allora si può fare, mentre le opere italiane e francesi bisogna sempre accorciarle, boh.
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La musica italiana è tutta all'insegna della chiarezza, infatti quando è mediocre te ne accorgi subito, ma quando è grande non ha bisogno di alcun trucco, si regge sulla forza della scrittura. A tale proposito, il mio ascolto di stasera: IPPOLITO ED ARICIA Opera in 5 acts Composer: Tommaso Traetta (1727-1779) Libretto: Carlo Innocenzo Frugoni (1692 – 1768), after the libretto, Hippolyte et Aricie, by Simon-Joseph Pellegrin First performance: Teatro Ducale, Parma, 9 May 1759 Ippolito: Madeline Bender, Aricia: Patrizia Ciofi, Fedra: Laura Claycomb, Teseo: John McVeigh Conductor: Christophe Rousset Les Talens Lyriques Choeurs des Opéras de Montpellier Live recording from Montpellier (23 February 2001) Avevo letto dell'esistenza di questa registrazione di Rousset ma non l'avevo mai trovata (sulle piattaforme c'è l'edizione Dynamic). Fortuna che YT ci fa questo regalo. L'opera, pur non raggiungendo la sintesi mirabile di Antigona (capolavoro assoluto della storia della musica), è un ibrido intrigante tra Rameau (di cui rappresenta la risposta italiana) e la tradizione napoletana. Di base è un opera all'italiana, dove centrale rimane l'aria, ma la presenza di musica da ballo, di recitativi accompagnati e cori, di un'orchestra insolitamente ricca di colori, ne fa il primo esempio in assoluto (1759!) di riforma del melodramma metastasiano. E a prescindere da queste considerazioni storiche, la musica è bellissima, e in più punti anticipa lo stile dei compositori classici (a partire da Mozart). L'esecuzione è lussuosa anche se non proprio integrale - pare manchino molti recitativi secchi, e qui poco male, ma anche diversa musica strumentale, sob! Conviene accontentarsi anche perchè già così l'opera dura 3 ore, ma chi ama il barocco tardo difficilmente si annoierà.
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Più che professionista, direi che era proprio un istrione! ma, come osservi, non soverchiava mai i cantanti (come fa Muti, per dire )... era un modo di fare teatro molto istintivo e pragmatico forse un po' superficiale, ma che, quando funzionava, era davvero potente. Mai sentito il Samson, ma posso suggerirlo in Gioconda (CBS), Mefistofele (Sony), nella mitica Forza del Destino dalla Scala, con Caballè e Carreras (anche in video), ma anche in opere del primo romanticismo che si prestano ad una lettura da colossal, ricca di contrasti, come un'altra mitica Norma al teatro antico di Orange (sempre con la Caballè, e Vickers!) o la Stuarda con la Gruberova (credo Philips). Ha inciso diverso Verdi in tedesco, anche con interpreti prestigiosi, ma non conosco quelle registrazioni. C'è una Favorita, registrata in concerto poco prima di morire, con Baltsa e Kraus, che doveva uscire come disco ufficiale. Ho notato che oggi si trova su Youtube, e può essere interessante (anche se sarà la solita revisione taglia e cuci pre-edizione critica). Mi sarebbe pure piaciuto sentirlo in Fanciulla del West, altro Puccini che gli si può avvicinare.
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Snorlino devi scrivere! hai fatto troppe vacanze! Patanè è il classico direttore snorlico, tradizionalista fino al midollo, molto appariscente nelle scelte interpretative, e soprattutto con una concezione del tempo assai arbitraria... e però pure io devo riconoscere che quest'uomo aveva un istinto teatrale fuori dal comune! non era un filosofo, ma come dici tu più un drammaturgo, e in più sapeva respirare coi cantanti, a costo di qualche scollatura. Di recente stavo riascoltando qualcosa della Gencer, e mi sono capitate sotto mano due prove della nostra, diretta da Patanè, che non conoscevo e che mi hanno fatto venire i brividi per una certa comunione di intenti tra i due. Anche se lo hanno frequentato, entrambi, secondo me, non avevano molto a che spartire con Puccini, autore troppo borghese, troppo psicologista... insomma troppa nevrosi proto-novecentesca (da Sinopoli diremmo). Questi erano più gente da dramma nobiliare, da Fedora o da Francesca da Rimini, per rimanere nel periodo, o al contrario da realismo violento ed esasperato. Certo che la crudezza neo-verista del Tabarro è, probabilmente, il Puccini più vicino a Patanè, nel mio sentire. Ma ancor più precisamente, negli anni mi sono convinto che la tarda Gencer (quella post-67), quella che i belcantisti davano per cotta, era invece, per la grande attitudine verso il gesto retorico, l'accento drammatico, la capacità rara di cambiare timbro e peso vocale, la scoperta umanità di certe sue interpretazioni, come fosse l'altro lato della medaglia della finzione esasperata delle sue celebri regine donizettiane, questa Gencer terminale e grandiosa era una specie di nuova Romilda Pantaleoni (e quei ruoli piuttosto gravi le si attagliavano certo meglio in questa fase declinante della sua evoluzione vocale). Quando diciamo Pantaleoni parliamo del repertorio italiano influenzato dalla retorica del grand-opéra, dal Tell a Poliuto, ma soprattutto parliamo del Verdi tardo, degli autori da Boito e Ponchielli, fino alla Santuzza di Cavalleria, suo ultimo ruolo. E non è forse quello il repertorio di elezione di Patanè, quello che ne esalta al meglio le potenzialità? (e cosa sarebbe stata un'Africana Gencer-Patanè dio solo lo sa!). Ascolta qui, in dedica con affetto:
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Non sapevo niente di questo concerto per la Resistenza del 1964 nè avevo mai sentito l'opera. C'è addirittura un sito https://risuonalaresistenza.it/ Molto bello! A proposito di Beethoven, ci sono momenti che mi ricordano proprio cose di questo genere: Se non fosse che non c'è mai un vero abbandono, gli ultimi quattro minuti sarebbero quasi mahleriani, alla faccia dell'autore freddo!
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Forse sto facendo confusione coi termini moderno, contemporaneo, attuale, commerciale... capiamoci con un esempio, gli ultimi quartetti di Beethoven: sono contrappuntistici, sono arcaicizzanti e tendono all'astrazione, a tratti sono anche impenetrabili, sono "idealisti" e conservano una buona dose di eroismo, sono fuori dalle mode del loro tempo. Ecco per me quella è musica che parlerà a tutte le epoche, proprio perchè è svincolata, per quanto possibile, dal suo presente, la puoi vivere anche al di là dell'esperienza personale e filosofica dell'autore, che riesce ad elevarsi ad un livello tale dove conta prima di tutto la composizione delle linee e ciò che genera nell'ascoltatore. E' come una messa di Palestrina, la puoi vivere anche non collegandola ai riti religiosi. Trovo questa musica sempre attuale, molto più di un qualsiasi pannello di Schumann, che è proprio la quintessenza di "quel momento", e che non so a noi cosa possa comunicare oggi se non qualche bella melodia da fischiare. E' musica solipsistica? sì, anche questo è di grande attualità, coltivare il proprio mondo interiore come unica strategia di sopravvivenza a quello esterno, è un insegnamento universale che vale ancora oggi! Io trovo vecchissimo anche Bruckner, altro idealista solitario, bravissimo, affascinantissimo, genio totale, ma che centra col mondo di oggi, cosa riflette? Almeno Ghedini è lucido e spietato! Bruckner - ho la sensazione - è usato per evadere dal mondo di oggi, si adopera di Bruckner proprio la sovrastruttura romantica che è la parte del suo messaggio più scollegata dal presente, ma questo è un altro discorso, come noi usiamo la musica classica, che può essere pure come musichetta nei centralini. Poi c'è il discorso "quanto può tirare in disco", ma quella è un'altra storia. Io sono convinto che un segmento di mercato ci sia. Io personalmente non mi sento un ascoltatore particolarmente intellettuale, e neanche molto paziente: sto entrando solo ora nella musica di Malipiero (dopo tanti tentativi), ho scoperto relativamente tardi Dallapiccola, continuo a non avere particolare empatia con Berio, Maderna e tutti quelli che hanno flirtato col serialismo, forse Scelsi non lo capirò mai... eppure Ghedini lo trovo un compositore facile da decodificare, non emotivamente (ho già spiegato), ma un compositore in cui mi oriento benissimo e che mi stimola immediatamente. Ghedini, come Verdi (in maniera diversa diciamo ), mi riporta alle cose, belle e anche brutte, sono compositori senza trucchi, perchè dovrebbero essere noiosi? non sarà mai popolare, benissimo, ma con tutta la musica impossibile che hanno inciso in etichette tipo NEOS, Col Legno e cose del genere, non c'è davvero posto per Ghedini? Bisogna fare un'operazione editoriale seria e ben sostenuta anche dalla stampa specializzata, se lo fai diventare fighettino Ghedini ti vende come Reich! il fatto che sia la musica in sè il problema mi convince fino ad un certo punto.
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Non lo so, non mi convince del tutto... a parte che solo in Contrappunti io sento Vivaldi, Gabrieli e chissà chi altri, non so se è suggestione, sono nascosti a frammenti, ma sono ben visibili a chi conosce il barocco italiano. Poi sarà pure un polifonista complesso, ma è sempre chiarissimo nell'esposizione e mai inutilmente intricato, corre sempre dritto e non la mena mai troppo a lungo, anche nei movimenti lunghi ci sono continui episodi, la materia è sempre manipolata e non c'è mai rischio noia, e poi ha un rigore talvolta quasi geometrico e pseudo-minimalista (ripetizioni continue di figure, ritmi molto regolari) molto potabile e moderno al tempo stesso, a me al contrario sembra candidato ad essere sempre attuale. Anche il suo "tirarsela" musicalmente non mi pare più intellettualistico di un Dallapiccola o di un Petrassi (non parliamo della generazione di dopo), anzi se vogliamo Ghedini ha tratti esteriori che appaiono più in continuità col passato rispetto ad altri. Secondo me invece quando parli di musica tesa e pensosa, beh uno dei motivi può essere quello, io lo trovo un compositore profondamente emotivo, la sua musica mi suscita un livello di tensione a volte insostenibile, non c'è un respiro drammatico, un arco, delle pause, è tutto a mille, anche gli adagi. Mi è capitata di vivere un'esperienza del genere con Rudi Stephan, di certo non con gente tipo Shostakovich, che è più un narratore. Ghedini sembra rappresentare certi moti dell'animo senza gesti, illustrazioni, mediazioni di alcun tipo, non so come faccia. E poi il fatto che fosse impermeabile alla musica tedesca post-wagneriana (dall'espressionismo a Webern) lo rende meno figo ad un certo pubblico. Dai la giocosità centra fino ad un certo punto, ci sono tanti compositori seriosissimi, però basta che fanno "fiiiii, fium fi fi fi faaaaaaaa" e tutti lì a sentire incantati... Ghedini era un italiano vero invece, come direbbe Toto Cutugno, trovò una via rinascimentale all'avanguardia, è anche questo che non gli abbiamo perdonato.