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Madiel

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  1. De Falla: El amor brujo (versione originale del 1915) Claire Powell, mezzosoprano; Aquarius diretto da Nicholas Cleobury La prima versione del celebre El amor brujo, ancora intitolato "gitaneria", che fu un grande fiasco alla prima esecuzione. E' stata una sorpresa, non immaginavo un giovane de Falla così incisivo: orchestrazione cameristica e piuttosto scabra, direi stravinskyana ante litteram, anche alcuni movimenti sono diversi o proprio spostati fanno sembrare l'opera del tutto diversa. E' anche più breve. A conti fatti è anche più affascinante della versione definitiva, che fu concepita per venire incontro ai gusti del pubblico del tempo.
  2. Considerato uno dei capolavori dell'autore, però è del 1947-48! Fresco fresco di guerra mondiale appena conclusa e dedicato alla memoria di una giovane vittima delle rappresaglie fasciste. Ghedini, più che alla denuncia civile, è interessato al compianto per l'avvenimento, cioè a qualcosa da ridurre a una dimensione privata e umana.
  3. Per spiegarmi meglio riguardo al "messaggio", mi riferivo soprattutto al citato Dallapiccola, autore che usa dei testi che devono comunicare qualcosa o fanno parte di precise coordinate intellettuali. Ghedini non lo fa mai, al più in certi casi il testo è un corollario al suono (vedi il Concerto dell'albatro), oppure si tiene su un vago misticismo (Concerto per Galimberti). Con Ghedini funziona così, sta lontano dalla materia incandescente e la distilla attraverso la sua interiorità, ma non ha l'urgenza di farci sapere qualcosa su come si pone nel mondo che vive. I tempi, rispetto ai quartetti di Beethoven, sono molto cambiati. Come pure è cambiato lo stile, che non è più unitario da oltre un secolo. Sono venuti meno anche l'idealismo e l'umanesimo, spazzati via da due guerre mondiali. Per forza maggiore, nella musica del XX secolo bisogna essere chiari nei principi e intellegibili sulle proprie idee, altrimenti ciò che si scrive potrebbe apparire oscuro.
  4. Gabrieli senz'altro, ma Vivaldi direi di no, forse c'è Corelli, sicuramente Frescobaldi. Forse ancora i polifonisti cinquecenteschi, chi lo sa... (non è il mio repertorio). Statico e geometrico, ma non necessariamente moderno, direi piuttosto arcaicizzante, e comunque inattuale perché impenetrabile. Bisogna avere una certa passione per la cerebralità musicale, caratteristica che, diciamolo, non riguarda la maggior parte del pubblico del suo tempo e, soprattutto, del nostro. Forse è azzardato definirlo noioso, ma ci sono dei pezzi che sono veramente impenetrabili. Affascinati senza dubbio, ma "chiusi" nell'apparente semplicità. A volte, la forza ritmica di alcuni lavori maturi, come Contrappunti o la Sonata da concerto per flauto, sembra piuttosto un mettersi alla prova spostando masse sonore nello spazio. Comunque, abbiamo dimenticato di citare una caratteristica saliente che, in effetti, riappare di continuo nella sua produzione: l'eroismo! In alcune opere tarde, come gli Appunti per un Credo e Studi per un affresco di battaglia, assume perfino una dimensione mistica. Un aspetto che lo rende senz'altro inattuale al suo tempo! Il solitario e misantropo Ghedini combatte contro il mondo decadente per la salvezza dell'Arte! Un puro idealista! Secondo me sì, perché rispetto ai due che citi non si interessa a problematiche extra musicali che diano un qualche messaggio umanista e non aspira a essere attuale attraverso la tecnica. In pratica, aspira in modo franco ad essere spirituale e atemporale. Due caratteristiche che sono state molto combattute da buona parte dell'estetica musicale del Novecento, e proprio dalla sua generazione, e che hanno avuto sempre vita difficile per motivi storici. Se si reclina in sé stesso e si cela, per forza di cose diventa enigmatico, nonostante la purezza dei mezzi espressivi impiegati. Era un figlio del suo tempo, che però ripudiava ogni aspetto della contemporaneità consumista e consumante, preferendo appartenere al passato della tradizione più lontana - pur senza nessuna nostalgia. Quando componeva aveva proprio lo spirito altrove! Aveva uno stile personale e ben riconoscibile, ma a volte mi dà l'impressione che scriva musica per sé stesso. Non è una critica, intendiamoci, è una constatazione: sceglie consapevolmente un certo tipo di comunicabilità che seleziona il suo pubblico. Su questo punto sono assolutamente d'accordo, ho avuto anche io la stessa sensazione. L'agghiacciante sospensione e la tensione dei "lenti" di Architetture, Concerto dell'Albatro, dell'Olmeneta o di Invenzioni, è al limite del sopportabile. A volte si ammanta di una strana, virile, malinconia. Penso proprio all'Olmeneta, sembra di perdersi in un labirinto vegetale, sopraffatti dalla forza misteriosa della natura. Molto interessante il parallelo con Stephan, in effetti anche il giovane tedesco aveva qualche caratteristica esteriore che lo accumunava: poco materiale molto lavorato, distacco emotivo, tendenza all'astrazione. Però, Stephan combatteva contro i suoi demoni wagneriani per via della formazione germanica, Ghedini no perché non apparteneva a quel mondo spirituale! Il mistero dei misteri! Forse, in effetti il grosso del pubblico ascolta la musica, percepisce strani gorgoglii allo stomaco e li scambia per profonde emozioni A volte, quando hanno una preparazione intellettuale un poco più accurata, percepiscono una vertigine alla testa o un colpo di calore alle guance E non dimentichiamoci della pelle d'oca!
  5. Non credo poi troppo materiale, difficile sui minori o gli sconosciuti. Una volta mi avevano riferito che gli acetati più antichi andarono già distrutti diversi decenni fa, per incuria il materiale si è degradato oppure se lo hanno rubato. Nielsen in effetti è citato, specificatamente nella sua fase serialista (che, dicono, non fu mai rigorosa). Sarebbe interessante una antologia sinfonica di questi carneadi, almeno quelli considerati più bravi. Sto ascoltando questo video con il "Grave" dalla Sonate per violoncello, e mi pare musica di ottima fattura, valida. Proprio una vergogna che ci sia molto poco di Ghedini, autore sempre considerato da musicologi e compositori suoi colleghi (Petrassi per esempio) come un grande. Di suo c'è sicuramente molto negli archivi RAI perché era il compositore vivente più eseguito dalle orchestre italiane fino ai primi anni settanta. Però, nonostante il mio dispiacere per questa assenza discografica, dopo anni di ascolti e di approfondimenti sono giunto alla conclusione che la lacuna non verrà mai colmata. Per il semplice motivo che Ghedini è un compositore troppo difficile, cerebrale al massimo, che lascia poco alla piacevolezza esteriore e all'approccio ludico. Troppi riferimenti ideali a Frescobaldi, autore già di suo complesso, e a Beethoven fuori dal nostro tempo storico, solo questo aspetto lo rende perennemente inattuale. E' neoclassico ma non fa citazionismo o giochini stilistici, è un polifonista complesso, è sempre teso e pensoso, a volte ha delle effusioni liriche estremamente controllate e quasi gelide, che possono renderlo un tantino odioso. Insomma, è un compositore elitario e tale resterà anche se si dovesse incidere una integrale.
  6. Io mi sono già immerso nella lettura, ma è assai frustrante: troppe informazioni e nessun esempio sonoro da ascoltare. E' uno studio in astratto, più storico che altro Pezzo di una certa notorietà all'epoca, aprì il concerto inaugurale del Festival di Venezia del 1936 (mi pare). Del fascistissimo Mulè ancora qualcosa si sa perché ne fece di cotte e di crude all'epoca, ma il problema sono la pletora di autori secondari delle scuole di Respighi, Casella, Pizzetti, Bustini e altri più o meno celebri che oggi sono totalmente dimenticati. Eppure all'epoca si eseguivano ai festival di Venezia o al Maggio fiorentino, o comunque se ne parlava perché via "italiana" alla musica moderna. Chi l'avrebbe mai immaginato che un tale Adone Zecchi scriveva musica hindemithiana negli anni quaranta Oppure che tale Gian Luca Tocchi, allievo di Respighi, scriveva un Concerto per tre sax, due pianoforti e orchestra nel 1935, ispirandosi al jazz Oppure ancora, che Riccardo Nielsen scriveva uno sfavillante Concerto per orchestra nel 1937 in stile neoclassico...
  7. Koechlin: Les Heures persanes op.65 (1913, orchestrazione 1921) RSO Stuttgart diretta da Heinz Holliger a todos!
  8. E sono magnifiche anche le copertine dei singoli dischi: hanno selezionato una serie di dipinti spagnoli figurativi di fine Ottocento-inizio Novecento, uno più bello dell'altro. Hanno anche un taglio di colore giallo oro scuro in alto con i caratteri in bianco e nero dei titoli, che evita di coprire le immagini sottostanti. Confezione assai raffinata per una edizione economica.
  9. Bernard Herrmann (prima di diventare Bernard Herrmann ) Sinfonia n.1 (1939) The Phoenix Symphony diretta da James Sedares Piena di afflato neoromantico e di moderazione espressiva, un giovane autore che in un certo senso si tiene a freno forse perché intimidito dalla forma impiegata. Sa anche che certi colpi di testa non può ancora permetterseli con il pubblico statunitense. Certo, però, che ascoltandola senza sapere chi è l'autore si potrebbe pensare a un epigono avanzato di Vaughan Williams o di altro accademico anglo-americano del tempo.
  10. Nel senso che quella roba va dritta nel bidone della plastica ?
  11. Lavori giovanili che preludono a opere più importanti, ma che hanno un certo successo presso pianisti e pubblico (sono stati anche trascritti più volte). E ora un capolavoro che non conoscevo neanche per titolo e che, a dire il vero, è pochissimo noto e ancor meno inciso. Secondo gli addetti ai lavori questa è la versione di riferimento de Falla: Soneto a Cordoba, per soprano e arpa (1927) V. de los Angeles, soprano; A. Challan, arpa
  12. de Falla: Quattro pezzi spagnoli (1906/1909) Gonzalo Soriano, pianoforte
  13. In effetti è un pezzo brillante e fluido, scritto molto bene e assai piacevole. Tradisce, però come dicono alcuni commentatori, una certa superficialità. Dietro alla magnifica scatola dai colori sgargianti e all'accademismo esibito senza vergogna (notare l'adagio coplandiano !), c'è poca polpa. Caratteristica la conclusione.
  14. Mah, di "African Heritage" ne vedo pochino negli autori citati. L'unico autenticamente africano nello stile e nei contenuti è solo il nigeriano Sowande, che scrisse musica ispirata al folklore del suo paese.
  15. Mai sentito, ma ora recupero. Leggevo su wikipedia inglese che questo Concerto ha suscitato parecchie critiche, lo accusano di essere un lavoro superficiale.
  16. Sì, anche se quel titolo "The spanish soul" mi pare un po' kitsch e per acquirenti ingenui
  17. Sicuramente un affare, ci sono alcune edizioni di riferimento di diverse opere di de Falla (i balletti, le opere, qualcosa da camera). L'ho preso perché sto studiando un bel libro appena comprato su questo autore e mi mancano diversi pezzi. Soprattutto, c'è l'edizione di riferimento di Atlantida diretta da Fruhbeck de Burgos, praticamente introvabile nel doppio cd EMI uscito negli anni novanta.
  18. Ma sai che questa foto mi ha sbloccato un ricordo di trent'anni fa almeno? Mi sono ricordato che all'epoca era venuto a casa nostra un rappresentante di libri e ci aveva offerto di comprarla. Come campione ci aveva mostrato il primo volume, lussuoso e di ottima fattura. All'epoca ci chiesero un botto, anche a pagarla a rate, ma io dovevo andare all'università e così i miei genitori lasciarono perdere A breve è il mio compleanno, quasi quasi mi faccio un regalo
  19. eehhh, che meraviglia, il santo Graal della musica italiana! Ben tre volumi sul Novecento!!!! Non era questa, il testo che dico io era stato pubblicato ancora prima, attorno al 1968-1970. Era una storia della musica più generale, con un volume dedicato alla musica del novecento e la seconda parte alla musica italiana novecentesca. Proprio non ricordo l'autore o gli autori, tra l'altro era in una biblioteca pubblica e io non abito più in quella città per poter verificare!
  20. Diversi anni fa lessi una enciclopedia della musica degli anni settanta o fine sessanta, mi pare, dove si parlava di Rocca. Ricordo che c'era anche una foto di una rappresentazione di Monte Ivnor o Il Dibuk. Francamente non mi ricordo il nome dell'autore o degli autori, ma mi pare fosse una pubblicazione famosa, che purtroppo non possiedo. Comunque, Rocca è citato qua e là nei testi d'epoca, almeno due righe si trovano sempre. Dibuk ha anche una scheda nel dizionario del Gelli.
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